Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 28/10/2013, 28 ottobre 2013
HOMELESS, UNA DISCESA AGLI INFERI
Ricordano i santi dipinti dai pittori arrivati dopo Caravaggio. I vecchi delle incisioni di Rembrandt. I tormentati protagonisti dei romanzi di Dostoevskij ed Emile Zola. Sono gli «homeless» ritratti da Lee Jeffries, fotografo quarantunenne che vive a Manchester nel Regno Unito, ma che ha raccolto queste immagini di uomini, donne e bambini vagando per le strade di Londra, Parigi, Roma, New York, Miami, Los Angeles, Las Vegas. Jeffries fotografa solo i volti. In primo piano appaiono le rughe che scavano la pelle, le barbe e i capelli incolti, le mani scarne dietro le quali questi derelitti del mondo cercano di nascondersi. E poi gli occhi: così chiari e trasparenti da sconvolgere l’osservatore che si sente a sua volta osservato e messo a nudo da questa moltitudine di sguardi sofferenti e saggi, limpidi e perduti. Persino i ciechi hanno una luce che si riversa nei loro occhi spenti. Jeffries presenta il suo lavoro in prima mondiale al Museo di Roma in Trastevere (piazza S. Egidio 1b) da domani al 12 gennaio. Fino ad oggi gli scatti del fotografo inglese erano stati pubblicati su The Independent, Cnn, The Guardian, la rivista Time. O si potevano vedere navigando in rete. La mostra romana, curata da Giovanni Cozzi con l’organizzazione di Zètema, presenta cinquanta ritratti dall’inquadratura frontale, in un potente bianco e nero. Il fotografo dice di essere fortemente legato alla particolare atmosfera di spiritualità e tolleranza della città di Roma, dove ha scattato molte delle immagini più significative della sua ricerca.«L’estraneo che cerco - racconta - non è facilmente a portata di mano e per ore io cammino ed osservo, alla ricerca di uno sguardo che catturi la mia attenzione e finalmente ponga fine alla mia ricerca. Sono un fotografo autodidatta, un contabile di professione, e sono approdato alla fotografia nel 2008. Le persone che attirano la mia attenzione sono spesso emarginati: gli uomini e le donne escluse dall’attività sociale. Istintivamente, sono attratto da questi personaggi insoliti, outsider le cui vite tragiche sono prive delle carinerie del decoro sociale. I loro volti rivelano una sorta di sofferenza senza tempo: il disagio è per loro diventato uno stile di vita. La sofferenza e la spiritualità sono senza dubbio sinonimi. Ho camminato su alcune delle vie più dure del mondo e ho sentito urlare l’ingiustizia». All’inizio fotografava eventi sportivi. Poi incontrò nelle vie di Londra una ragazza senzatetto. La riprese inquadrandola con il teleobiettivo. Un’immagine rubata. Ha confessato che l’istinto l’aveva spinto a scappare, subito dopo lo scatto. Invece si fermò e si mise a parlare con la giovane donna. «Questo primo incontro mi ha insegnato ad anteporre la conoscenza delle persone all’urgenza di fare loro un ritratto». Scrive Cozzi nell’introduzione alla mostra: «L’emozione che ho provato la prima volta che ho visto le immagini di Homeless è qualcosa che raramente si prova davanti a delle fotografie. Forse perché queste sono solo in apparenza delle fotografie. Più che di fotografia, è di Arte Sacra che si tratta. Ed è questo ciò che resta della divina tragedia di Jeffries: il Sacro, il senso vero dell’essere Umano, troppo Umano, nella discesa agli Inferi e nella risalita al Cielo»
Lauretta Colonnelli