Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 14/10/2013, 14 ottobre 2013
I LUMI NEGLI ARMADI DEL VALADIER
«Piccolo e prezioso». Così Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, definisce il Museo Profano inaugurato nel 1767 da papa Clemente XIII e disperso al tempo di Pio VI, proprio nel momento in cui le collezioni in esso contenute avevano raggiunto l’apice per il numero di pezzi e per la rarità. Collocato all’estremità nord della Galleria Clementina, faceva da contraltare al Museo Cristiano, creato da Benedetto XIV nel 1757. In mezzo era ospitata, fino a una decina di anni fa, la Biblioteca Apostolica. Il saccheggio del Museo Profano iniziò nel febbraio del 1798. Gli ufficiali di Napoleone portarono via, a più riprese, gran parte delle opere più prestigiose. Oggi, grazie a un lavoro di restauro iniziato nel 2005 e portato avanti da Guido Cornini e Claudia Lega, il Museo Profano è stato riallestito come ai tempi di Pio VI e riaperto nei giorni scorsi al pubblico. Le opere hanno ritrovato la collocazione originaria dentro gli splendidi armadi realizzati nel tardo Settecento dai grandi mobilieri romani su disegno di Luigi Valadier. Sono riapparsi gli avori, i vetri, i piccoli bronzi, i cammei, i medaglieri, sistemati secondo lo spirito enciclopedico del secolo dei Lumi. Per l’occasione è stata organizzata anche una mostra, che si può visitare nella sala delle Nozze Aldobrandine fino al 4 gennaio. Si intitola «Preziose antichità» e presenta le opere disperse, che oggi arrivano dal Louvre, dalla Bibliothèque nationale de France, dall’Ermitage di San Pietroburgo, dall’Istituto nazionale per la grafica e dalla Biblioteca Apostolica Vaticana. Ci sono pezzi straordinari, come il famoso cammeo Carpegna con il Trionfo di Bacco e il cammeo di Augusto, entrambi magnificati da Valadier con montature in oro e tripudi di gemme antiche. Ma il pezzo che da solo vale una visita è il cosiddetto cammeo Gonzaga. Raffigura i volti di Tolomeo II Filadelfo e della sua sposa Arsinoe II. Fu inciso da un artista sconosciuto in una pietra a più strati e di colori diversi. La donna, in secondo piano, è scolpita nello strato più profondo della pietra, di colore bluastro, come se fosse oscurata dall’ombra del suo potente sovrano. Apparso per la prima volta nella collezione di Isabella d’Este (prima metà del Cinquecento), il cammeo restò presso i Gonzaga fino al 1630, quando gli austriaci assediarono Mantova e distrussero il palazzo. Riapparve a Praga, dove fu depredato dai soldati di Cristina di Svezia. Quando la regina abdicò trasferendosi a Roma, portò con sé la pietra, che dopo altre avventure finì nelle collezioni vaticane. Ma per poco. Nei primi anni dell’800 ricomparve nelle mani di Joséphine, prima moglie di Napoleone, che la regalò ad Alessandro I di Russia. Da allora si trova all’Ermitage. Fino ad oggi soltanto alcuni, tra le migliaia di visitatori che uscendo emozionati dalla Sistina percorrono ogni giorno i trecento metri del corridoio clementino fino alla sala del Museo Profano, si rendevano conto di attraversare il luogo che aveva ospitato il primo nucleo delle immense raccolte di antichità racchiuse nel complesso dei Musei Vaticani. Ora tutti possono sostare davanti agli armadi del Valadier e ammirare, per la prima volta dopo oltre duecento anni, una delle collezioni di arti decorative più importanti al mondo. Avverte Paolucci: «Qui dentro non c’è bisogno di speciali apparati didattici per capire cosa è stato il secolo dei Lumi, l’età della ragione e della grazia. Basta sostare al centro della sala e guardarsi intorno. In silenzio».
Lauretta Colonnelli