Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 07/10/2013, 7 ottobre 2013
LA DOLCEZZA DEL VIVERE NEI DISEGNI DELL’APPIA
«Coloro che non hanno conosciuto l’ancien régime non potranno mai sapere cos’era la dolcezza del vivere». Jean-Louis Brugès, bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ha esordito con la famosa frase di Talleyrand, per presentare nei giorni scorsi in Vaticano il volume sul viaggio da Roma a Benevento compiuto dal disegnatore romano Carlo Labruzzi al seguito del ricco sir Richard Colt Hoare. L’ancien régime stava declinando, incalzato dalla rivoluzione, ma loro non potevano prevederlo, quando imboccarono l’Appia, la mattina di sabato 31 ottobre 1789: Labruzzi carico di fogli per disegnare ogni minimo particolare dell’antica via consolare, Sir Colt Hoare con le Satire di Orazio, il poeta che circa diciotto secoli prima aveva affrontato lo stesso tragitto fino a Brindisi. Il disegnatore romano e il suo mecenate inglese si fermarono però a Benevento, bloccati dall’inverno e dall’influenza. Ma il risultato del viaggio fu ugualmente straordinario: un voluminoso corpus di fogli ad acquerello monocromo che illustrano la via Appia chilometro per chilometro.Ora per la prima volta l’opera completa è stata pubblicata da Pier Andrea De Rosa e Barbara Jatta (con il contributo di Lorenzo Quilici) nel volume intitolato «La via Appia nei disegni di Carlo Labruzzi alla Biblioteca Apostolica Vaticana», che ripropone sia i 226 fogli custoditi nella biblioteca e conosciuti fino ad oggi in modo frammentario, sia il confronto con altre versioni di vedute della via Appia, eseguite dallo stesso Labruzzi e conservate all’Accademia di San Luca, a Palazzo Braschi, al British Museum di Londra e in altre importanti istituzioni internazionali. Jatta ha inoltre ricostruito l’attività di Labruzzi come incisore e De Rosa ha raccolto nell’appendice i documenti d’archivio che raccontano la vita dell’artista. Ma soprattutto hanno ripercorso ogni tappa di quel viaggio compiuto «nel dorato tramonto dell’ancien régime», come ha riferito con la consueta sapienza affabulatoria il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci: «La storia cominciava a girare su se stessa. C’era stata, tre mesi e mezzo prima, la presa della Bastiglia. Presto sarebbe arrivato il Terrore e poi il Termidoro. Ma a queste cose non pensava Colt e neppure Labruzzi, carico di figli e felice della commessa che gli avrebbe permesso di mantenerli. Così, mentre il mondo cambiava pelle, il mecenate e l’artista salirono su una carrozza col tiro a due e passo passo percorsero l’Appia; sir Richard leggendo Orazio e Labruzzi disegnando con le sue matite e i suoi pennelli».De Rosa riporta nel libro anche i diari di viaggio, fino ad oggi inediti, di Colt Hoare in altre regioni d’Italia. Si scopre che il «connoisseur» volle studiare l’italiano per non avere il fastidio di un interprete. Che considerava gli italiani poco più che dei selvaggi, ma amava ugualmente il paese che aveva ospitato Orazio, Virgilio e Catullo, incantato dal fatto di respirare la loro stessa aria, dall’essere accarezzato dal loro stesso sole. Deviò spesso dall’itinerario del Grand Tour per conoscere zone sconosciute. Volle andare a Isernia, perché qualcuno gli aveva detto che nell’eremo dei santi Cosma e Damiano si celebravano ancora i riti fallici della classicità. Divorato ovunque dalle cimici e dalle zanzare, ostacolato dal cattivo stato delle strade, fu quasi sempre soddisfatto dal buon cibo. Attraversò da un capo all’altro la Sicilia, accettando l’ospitalità sontuosa dei vari principi e lasciandosi scortare dai loro campieri. Jatta ha seguito le tracce dei disegni di Labruzzi, dispersi e ritrovati nel 1903 sul mercato antiquario inglese da Thomas Ashby, il quale ne subì il fascino e decise di ripercorrere l’Appia in bicicletta.
Lauretta Colonnelli