Massimo Vincenzi, il Venerdì 1/11/2013, 1 novembre 2013
QUALCUNO SALVI LE PENNE
NEW YORK. Rachel Jeantel ha un sorriso triste. Sta sul banco del tribunale per raccontare gli ultimi istanti di vita del suo amico Trayvon Martin, ucciso da un colpo di pistola sparato dalla guardia giurata George Zimmerman. I televisori d’America rimbalzano in diretta la sua faccia gentile, lei fatica a trattenere l’emozione. Quando a un certo punto il giudice le passa un foglio, non riesce a trattenere una risata nervosa: «Mi scusi, ma io non so leggere il corsivo».
Parte da qui, da un’aula di tribunale, il dibattito sul destino della scrittura a mano, che da alcuni mesi è tornato ad appassionare gli Stati Uniti. Forum sui giornali, siti che lanciano sondaggi, esperti che si sfidano a duello. Sul New York Times il più duro e provocatorio è Morgan Polikoff, che insegna all’Università della California: «È stato un pilastro per generazioni? E allora? Il mondo va avanti, le cose cambiano: lasciamolo morire in pace, tanto è già defunto». Poi argomenta impietoso, guadagnandosi la presenza fissa nei vari talk show per diverse settimane: «Io conosco pochissimi adulti che scrivono a mano, tutti ormai comunicano con la tastiera, perché le scuole dovrebbero perdere tempo a trasmettere una nozione inutile?».
E infatti da almeno due anni la maggior parte degli Stati americani (in tutto 45) non prevede più l’obbligo dell’insegnamento, l’eccezione sono quelli come il North Caroline, dove legislatori appassionati lo impongono per legge: «perché non bisogna perdere le tradizioni», scrivono nei comunicati ufficiali tra un convegno e l’altro in ricordo dei tempi che furono.
Un sostenitore accanito è Jimmy Bryant, docente alla Central Arkansas University. Alla Cnn racconta smarrito che quando chiede in aula chi sa scrivere in corsivo le mani dei suoi ragazzi restano tristemente abbassate. Ma lui non si rassegna: «È un’antica consuetudine che non bisogna lasciar per strada, e non per un vezzo passatista: è fondamentale per preservare la storia della nostra nazione. La Costituzione è scritta in corsivo, tutti i principali documenti delle epoche antiche sono scritti in corsivo: vogliamo perdere tutto questo?».
In suo soccorso arrivano anche studi scientifici. L’Università dell’Indiana ne ha pubblicato uno qualche tempo fa dove il corsivo viene associato alla velocità di apprendimento dei bambini. Non solo: aiuta anche le capacità motorie, favorisce lo sviluppo della memoria e stimola la fantasia. «Mettere le parole nero su bianco fa bene al cervello. È un’attività che va ad allargare l’area del pensiero, che ne trae così un enorme beneficio», spiega nel forum del New York Times la terapista Suzanne Baruch Anderson. E la pediatra Sandy Schefkind aggiunge: «Imparare il corsivo aiuta i bambini a perfezionare le loro abilità motorie. La chiave è la destrezza, la fluidità, la capacità di dosare la pressione della penna sul foglio».
Il declino però è nei fatti. La grafologa Heidi H. Harralson racconta: «Mi capita sempre più spesso di analizzare scritture in corsivo inconsistenti e poco comprensibili. Per fare un esempio, tutti firmiamo in corsivo: ebbene, le firme tendono a essere sempre più spesso astratte, semplicistiche, illeggibili. Anche e soprattutto tra gli adulti».
La battaglia sembra di retroguardia. Computer, tablet e smartphone minacciano le biro e le matite, e ormai la tecnologia va così veloce che persino il computer è in pericolo. Il Washington Post racconta che molte scuole hanno dovuto aumentare le ore dedicate all’uso della tastiera perché la generazione touch, che usa solo i pollici sui telefonini, non solo ha detto da tempo addio al corsivo, ma rischia anche di non sapere più battere sulla tastiera.
Uno dei pochi baluardi rimasti è quello delle scuole cattoliche, dove l’obbligo dell’insegnamento del corsivo è rimasto, anche se ormai assomiglia ad una riserva indiana: dalla mezz’ora e oltre quotidiana si è passati a blocchi da 15 minuti due o tre volte la settimana.
Eppure, a parole sono tutti dispiaciuti per l’estinzione della scrittura. Un sondaggio nazionale rivela che il 79 per cento degli adulti sostiene che debba essere insegnata e anche il 68 per cento dei ragazzi (tra gli 8 e i 18 anni) la pensa allo stesso modo. Il 49 per cento degli adulti è convinto che migliori la lettura e le capacità di apprendimento, opinione condivisa dal 35 per cento degli studenti.
Ma le percentuali non dicono tutta la verità. Il Paese di fatto è spaccato in due, la battaglia è ideologica: come spesso avviene, i due opposti schieramenti spingono sul tasto dell’iperbole, ed è impossibile arrivare a compromessi. Jacqueline DeChiaro, direttrice della Van Schaick Elementary School di Cohoes (Stato di New York), segue il collega Morgan Polikoff: «Passiamo ore e ore a dire che dobbiamo insegnare la modernità ai nostri ragazzi, che li dobbiamo preparare al mondo del lavoro: ma siamo sicuri che il corsivo sia una cosa da 21° secolo?». Lei non aspetta la risposta e nel suo istituto lo ha già cancellato dal programma d’insegnamento. Polikoff rincara la dose in un successivo articolo sul Los Angeles Times: «Con tutti i problemi che ha l’istruzione in questo Paese gli insegnanti farebbero bene a concentrarsi sulle materie che servono davvero».
Usa Today dedica una lunga serie di articoli al tema. Pro e contro si susseguono, tra i più decisi a sostenere il partito dei pragmatici c’è un tecnico informatico, Steve Moore, che attacca i nostalgici: «Quello che importa è saper scrivere, riuscire a comunicare ed esprimersi al meglio e, visto che oggi lo si fa attraverso le tastiere dei computer, mi sembra veramente inutile insegnare a scrivere a mano. Nei miei trent’anni di esperienza professionale ad alto livello è una capacità che non mi è mai stata richiesta».
I blog si surriscaldano, volano offese, si citano altre statistiche e studi medici che dimostrano tutto e l’esatto contrario. Poi, come a volte accade, una voce piccola, che viene da un posto sperduto in mezzo alle grandi pianure, rivela qualcosa di così semplice da assomigliare alla verità. Lei si chiama Judith, ha 60 anni, fa la maestra in un paesino del Nebraska, vicino a Topeka. Su un blog di genitori e insegnanti scrive: «Lo so, il corsivo sembra una cosa dannatamente fuori moda, nostalgia da vecchi con i capelli bianchi. Sarà anche vero. Poi però io vedo i bambini che vengono nella mia classe, vedo il loro sorriso quando imparano a scrivere il loro nome. E allora forse, dopo tutto, la scrittura non è così inutile».
Massimo Vincenzi