Claudio Gallo, La Stampa 1/11/2013, 1 novembre 2013
LONDRA VUOLE FERMARE IL TURISMO DIVORZISTA DEGLI ITALIANI
Cento e ottanta coppie italiane, che hanno scelto la corsia veloce inglese invece della lunga strada burocratica italiana per annullare il matrimonio, stanno per vedersi cancellare il divorzio. La richiesta di annullamento è stata presentata al massimo magistrato che si occupa di diritto di famiglia, Sir James Mumby, lo stesso che solo l’altro giorno aveva detto che i giudici devono mettere le arcaiche reminiscenze cristiane in naftalina, per abbracciare la più moderna fede nel multiculturalismo.
Le disunioni devono essere cassate - come ha chiesto l’avvocato Simon Murray che rappresenta la Corona - perché sono state ottenute fornendo una truffaldina dichiarazione di residenza in Gran Bretagna. Centosettantanove mariti hanno fornito lo stesso indirizzo, nella High Street di Maidenhead, nel Berkshire, che è risultata essere una (affollatissima) casella postale. Il 180° ha dato un indirizzo di Epsom. Tutte le mogli risultavano residenti in Italia.
Come è noto, da noi ci vogliono tre anni per divorziare, un periodo biblico nei nostri tempi di corsa. Così qualcuno ha deciso furbescamente di sfruttare la legislazione europea che riconosce il divorzio ottenuto in qualsiasi paese dell’Unione. I pragmaticissimi inglesi sono tra i più veloci, ma il turismo divorzista troverebbe tempi rapidissimi (e costi probabilmente minori) specialmente in Romania.
L’avvocato Murray fa capire che in Italia ci sono agenzie specializzate in questo tipo di turismo, «che prendono intorno ai quattromila euro» per la pratica. L’uso sistematico della stessa casella postale come indirizzo lo rivela chiaramente.
Nella sua lettera l’avvocato della Corona ha ricordato che in Inghilterra e nel Galles «è una precisa richiesta della legge che le persone richiedenti il divorzio risiedano abitualmente in Inghilterra per almeno un anno immediatamente prima la richiesta di scioglimento del matrimonio».
La conclusione del rappresentante della Regina, che con buona probabilità sarà poi accolta dal giudice della corte suprema Munby, è che «i tribunali dell’Inghilterra e del Galles non hanno giurisdizione per trattare i divorzi di persone che sono entrambi residenti all’estero».
Nonostante il caso riguardi cittadini italiani, la competenza resta totalmente nelle mani della giustizia inglese. Le autorità italiane nel Regno Unito «non entrano nel merito», ha commentato il Console generale a Londra Massimiliano Mazzanti. Tutto ciò che il nostro Consolato può fare è di collaborare con i magistrati di Sua Maestà per cercare di rintracciare le persone interessate. Murray sostiene che, delle 180 coppie interessate, soltanto due si opporrebbero al decreto di annullamento del divorzio.