Marina Berlusconi, la Repubblica 1/11/2013, 1 novembre 2013
LA VERITÀ SUI MIEI AFFETTI
Egregio dottor Merlo, ho letto con qualche stupore il ritratto che lei mi ha dedicato su Repubblica di oggi, “Il destino dell’erede prigioniera di papà”. Non è necessario avere fatto particolari studi psicoanalitici per capire come le categorie più banali della psicoanalisi, quelle da chiacchiera del dopocena, vengano utilizzate per scolpire nella pietra una immagine della sottoscritta che non mi appartiene per nulla. Trovo fatica inutile, oltre che superflua, smentire nel merito le frasi mai dette, i sentimenti mai provati, gli atteggiamenti mai assunti che lei invece mi attribuisce. Ma un’osservazione ci tengo a farla. Ho sempre pensato che i rapporti umani rappresentino uno degli aspetti più insondabili e complessi della nostra esistenza, a maggior ragione per chi li osserva dall’esterno. Vedo invece che lei, dottor Merlo, forte di un nostro incontro di quindici anni fa e di qualche battuta raccolta in giro, in 142 righe, con grande sfoggio di erudizione, si mostra certo di avere la verità in tasca. Non le sembra di eccedere in presunzione? Lasci riposare Freud in pace, citarlo non l’aiuterà a capire un po’ di più della sensibilità, della delicatezza, della tolleranza, del rispetto con cui mio padre è sempre stato al mio fianco e ha sempre rispettato le mie inclinazioni. Non l’aiuterà a capire un po’ di più dell’amore che provo per mio marito e i miei figli, e trovo grottesco, oltre che offensivo, che lei arrivi perfino a tranciare giudizi sulle gerarchie dei miei affetti. Chi le dà il diritto di scrivere simili sciocchezze? Se proprio vogliamo affidarci alla psicoanalisi, ma a quella seria, ciò che meriterebbe davvero di essere psicanalizzata credo sia questa ossessione antiberlusconiana, questa vera e propria sindrome che obnubila intelligenze, analisi, ragionamenti e dalla quale anche lei mi pare tutt’altro che immune.