Luciano Ferraro, Corriere della Sera 1/11/2013, 1 novembre 2013
LA PENURIA DI VINO NEL MONDO «DIVENTA UN BENE DI LUSSO»
La banca d’affari Morgan Stanley ha evocato un futuro nero: un mondo senza vino. O almeno senza la quantità sufficiente del «più certo e più efficace consolatore», come lo definiva Giacomo Leopardi.
Secondo lo studio di due analisti australiani mancheranno presto sul mercato 300 milioni di casse di vino: i 2,8 miliardi di casse attuali non bastano. Il deficit di produzione per il 2012 è «il più grave negli ultimi 40 anni». Perché, a causa del cambiamento del clima e di tanti altri fattori, escono dalle cantine sempre meno bottiglie.
Secondo Morgan Stanley c’è stata una flessione mondiale del 10% del vino sul mercato. E contemporaneamente un aumento dei consumi dell’1%. Dai Paesi che hanno scoperto da poco il vino non solo per i palazzi dei ricchi e dei politici, come la Cina, arriva una richiesta in continua crescita. E non riguarda unicamente le etichette di pregio, quelle per le aste. Intanto i vigneti in Europa continuano a diminuire. Gli Stati Uniti, dove i vini italiani sono ben schierati, producono fino all’8% del vino di tutto il mondo ma ne consumano di più, il 12%. Dal Sud America all’Australia, un altro gruppo di Paesi mette in bottiglia il 30% del vino mondiale che non riuscirà, secondo Tom Kierath e Crystal Wang, i due analisti australiani che firmano la ricerca di Morgan Stanley, a soddisfare i bisogni di americani e cinesi, pronti a consumare entro tre anni 800 milioni di casse di vino. Stati Uniti, Argentina, Cile, Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa, a parere di Morgan Stanley, hanno già raggiunto il picco, non possono ricavare altra uva da altre vigne.
La Cina può invece diventare la grande sorpresa nei prossimi anni. Produce ormai 13 milioni di ettolitri, e ne importa non più di 4. I francesi l’hanno capito e aprono aziende sul posto. C’è una parte del mondo che beve sempre di più. Un’altra, la nostra, che beve sempre meno. In totale il pianeta scola 245 milioni di ettolitri. Ma l’Italia dei fiaschi e delle damigiane degli anni Settanta, quando finivano a tavola 120 litri l’anno a persona, è sparita: i litri sono diventati 38 l’anno a testa. Per i vignaioli l’export è quindi diventato irrinunciabile. Vale circa 4,88 miliardi di euro.
Se ci sarà meno vino, «i prezzi diventeranno più elevati», prevedono i ricercatori. Tanto che Forbes , commentando il rapporto della banca americana, distribuisce consigli sugli investimenti da fare: comprare ora bottiglie di pregio, per rivenderle tra qualche anno quando scarseggerà il vino.
L’«Organisation internationale de la vigne e du vin» ha rifatto i conti degli analisti australiani. Scoprendo che il 2013 non andrà poi così male: la crescita produttiva sarà del 2% in Italia (45 milioni di ettolitri), del 7% in Francia (44 milioni) e persino del 79% in Romania (6 milioni). «Dopo 5 raccolti consecutivi modesti (dal 2007 al 2011) e un 2012 eccezionalmente scarso, la produzione 2013 può essere considerata relativamente elevata, tenuto conto della riduzione del vigneto comunitario».
«Un mondo senza vino? È più probabile che finisca prima il petrolio», sorride Riccardo Cotarella, il presidente degli enologi italiani. «Comunque se mancherà vino è perché non riusciamo a dare un reddito ai produttori, il guadagno medio è di 500 euro a ettaro per le uve usate per i vini da tavola. Discorso diverso per le zone doc e dogc, ma il mondo non beve solo Brunello o Amarone. E poi è vero che si affacciano sul mercato nuovi Paesi, ma ora il clima mutato permette di fare il vino in luoghi del Nord prima impensabili», spiega Cotarella, che segue aziende persino in Giappone. La fosca previsione della banca americana potrebbe quindi non avverarsi. In fondo è così dai tempi del diluvio, quando Noè sbarcò dall’Arca, piantò una vigna e si ubriacò.
Luciano Ferraro
(divini.corriere.it)