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 2013  novembre 01 Venerdì calendario

LE TELEFONATE TRA MINISTRO E FAMILIARI «NON È GIUSTO, CONTATE SU DI ME»


La prima telefonata è un «messaggio di solidarietà», come lo definiscono gli investigatori della Guardia di finanza di Torino, lo stesso giorno degli arresti dell’intera famiglia Ligresti, il 17 luglio scorso: è il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, che alle 16.42, dal suo ufficio di Roma risponde a una telefonata di Gabriella Fragni, la compagna di Salvatore Ligresti. «Sono mesi che ti voglio telefonare per dirti che ti voglio bene, la mia vita mi scorre in maniera indegna. Ma oggi dico “devo trovare il...” perché te lo devo dire, ti voglio bene, guarda, ti trovo vicino e tu non puoi immaginare da quanto tempo», dice il ministro. Dall’altra parte del telefono Fragni piange: «È stata la fine del mondo». «La fine del mondo, sì», risponde il ministro. «Io non è che ammetto che non ha fatto errori», riconosce Fragni parlando di Salvatore Ligresti, 81 anni, presidente onorario della compagnia assicurativa Fondiaria-Sai e sotto inchiesta, insieme con i figli e alcuni ex manager, per falso in bilancio aggravato per un presunto buco da 538 milioni nelle riserve sinistri di Fonsai nel 2010. «Noooo, però... c’è modo e modo», chiosa il ministro. «Comunque guarda», interviene il ministro, «qualsiasi cosa io possa fare conta su di me, non lo so cosa possa fare però guarda son veramente dispiaciuta», per poi aggiungere che non appena fosse passata da Milano sarebbe andata «subito a trovar(la)» e «se tu vieni a Roma, proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti. Guarda non è giusto, non è giusto».
La famiglia dell’ingegnere e il ministro tornano in contatto un mese dopo, il 17 agosto. Tra i Ligresti arrestati — Salvatore, ai domiciliari per ragioni di età, Jonella in carcere a Torino, Giulia a Vercelli mentre Paolo è sfuggito agli arresti perché in Svizzera e cittadino elvetico — è proprio la minore, Giulia, a patire di più la detenzione. Il 17 agosto, dopo il rigetto della istanza di scarcerazione per motivi di salute (anoressia e rifiuto del cibo), Fragni decide di intervenire presso la Cancellieri e per farlo si rivolge al fratello di Salvatore Ligresti, Antonino: «Senti Nino, oggi è uscito sul Corriere un articolo interessante, molto (sulle condizioni di salute di Giulia, ndr ), vorrei che tu raggiungessi, perché non ci sono riuscita, quella nostra amica». Il 19 agosto Nino la informa: «Ho stabilito il contatto e aspetto risposta». Dai tabulati di Ligresti risulta una chiamata quello stesso giorno, lunga 6 minuti, con un telefono in uso al ministro.
Appena tre giorni dopo, al procuratore aggiunto di Torino, Vittorio Nessi, precipitatosi al ministero a Roma per sentirla come testimone, Cancellieri conferma telefonata e interessamento: «Ho sensibilizzato i due vice-capi dipartimento del Dap (l’amministrazione penitenziaria, ndr ) Francesco Cascini e Luigi Pagano, perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati. Si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione. Cascini era al corrente della situazione perché lo aveva già letto sui giornali e si era già posto il problema. Dopo di allora non li ho più sentiti e non so se siano intervenuti, e eventualmente, in che termini».
Il legame tra i Ligresti e la Guardasigilli è di antica data: «Ho un rapporto di amicizia con Annamaria Cancellieri che dura da oltre quarant’anni», spiega Fragni al pm Marco Gianoglio il 20 agosto, «lei abitava nella stessa casa di Tonino Ligresti e col tempo si è instaurata un’amicizia a livello di famiglie e anche mio personale». Eppure negli ultimi tempi il rapporto si era in qualche modo «diradato a causa degli impegni istituzionali» del ministro. È difficile anche per i magistrati ricostruire i contorni di questo rapporto, anche sulla base di alcune mezze frasi intercettate: «Ieri ho avuto una telefonata che poi ti dirò», dice Fragni il 18 luglio 2013 alla figlia, «gli ho detto: ma non ti vergogni di farti vedere adesso? Ma che tu sei lì perché ti ci ha messo questa persona... Ecco. Capito? Ah, son dispiaciuta... No, non si è dispiaciuti! Sono stati capaci di mangiare tutti...». Il riferimento era forse al ministro?, è la domanda del pm. «Era una espressione generica, non so a chi potesse essere riferita», risponde Fragni.
Un’incrinatura emerge anche dalla telefonata di luglio tra le due donne: «Son veramente dispiaciuta», dice il ministro, «ma sono mesi che ti voglio... poi ci sono state le vicende di Piergiorgio quindi... guarda....». Piergiorgio Peluso è il figlio del ministro, nominato nel 2011 dai Ligresti direttore generale di Fonsai nell’ambito di un cambio di management richiesto dalle banche creditrici. «Eh sai, anch’io non ho mai chiamato», replica Fragni, «perché mi veniva sempre in mente quel discorso che avevi fatto in cascina quando mi dicevi “io non sono contenta, non vorrei che ci andasse di mezzo la nostra amicizia” purtroppo sembrava quasi un...». «Guarda, maledetto quel momento, guarda»....
Con l’arrivo di Peluso iniziarono ad emergere i problemi di carenza di riserve in Fonsai e la necessità di un partner, poi individuato in Unipol. «A Peluso han dato una buonuscita di 5 milioni, è stato un anno, ti rendi conto?, e ha distrutto tutto», si sfoga Giulia il 19 ottobre 2012 al telefono con un’amica («Cri»), «invece di chiedergli i danni! Mi han detto che in consiglio nessuno ha fiatato, sì, sì, approvato all’unanimità, che se fosse stato il nome di qualcun altro... mio papà che ha 80 anni gli contestano quella cifra, perché a questo qui che ha 45 anni, è un idiota, perché veramente è venuto a distruggere una compagnia, perché l’ha fatta su mandato proprio la distruzione, 5 milioni, è andato in Telecom». Il contratto — «che in effetti gli abbiamo fatto noi, con la pistola puntata di Unicredit» — prevedeva che in caso di cambio del controllo Peluso potesse riscuotere l’intera retribuzione, «però io pensavo che non è che uno prende, sta un anno poi va via e chiede che gli vengano consegnati tutti i tre anni di paracadute».
Fabrizio Massaro

fmassaro@corriere.it