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 2013  ottobre 28 Lunedì calendario

I RISCHI DI UN CONDONO E LA FATICA DI TRATTARE CON LA SVIZZERA


È VERAMENTE VICINA LA LEGGE PER IL RIENTRO DEI CAPITALI DALL’ESTERO? Nella presentazione della legge di Stabilità, è stato affermato che per due iniziative, la rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia e, appunto, il rientro dei capitali illecitamente esportati, si sarebbe proceduto parallelamente, con normative separate, ma con la finalità di rimpolpare le risorse della predetta Legge in modo da aumentare le possibilità di copertura di misure destinate alla crescita. Del ritorno in patria dei capitali si riprende ora a parlare e ne da grande evidenza il Corsera. Quasi contemporaneamente, il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha nettamente escluso la possibilità del ricorso a una imposta patrimoniale: cosi una fonte di gettito, illusoriamente concepita come alternativa ad altre opzioni -compresa la tassazione dei capitali che rientrino- si allontana, se mai fosse stata presa seriamente in considerazione.
Tuttavia, il progetto del ritorno a casa non è affatto esente da difficoltà. In primis, secondo gli studi sinora compiuti da un’apposita commissione ministeriale, il rientro in questione si dovrebbe fondare sull’autodenuncia da parte del titolare dei capitali illegalmente trasferiti, con la conseguenza del pagamento di tasse e interessi arretrati e l’assolvimento di una sanzione pecuniaria, ma senza la sottoposizione a eventuali procedimenti penali. Saremmo così, in non molti anni, al quarto condono che, per questo preventivo esonero, risulterebbe ancora più pregnante dell’ultimo in ordine di tempo che, almeno, si fondava sull’anonimato. E verrebbero qui in causa tutte le considerazioni sugli impatti perversi delle sanatorie, con riferimento alla certezza del diritto e allo stimolo al perseverare in comportamenti illegali, con conseguenze anche sull’ammontare degli introiti fiscali, una volta conclusi gli effetti del condono.
Ma la parte più rilevante di una tale iniziativa starebbe nell’accordo che si intenderebbe stipulare con la Svizzera, dove è depositata gran parte delle risorse trasferite lecitamente o illecitamente, per agevolare il rientro di quelle esportate irregolarmente e la successiva regolamentazione. E da tempo che sono in corso negoziati con la Confederazione elvetica, che nel frattempo ha concluso intese di questo stesso tipo con gli Usa e con Inghilterra, negoziati che hanno avuto un andamento discontinuo e fin qui non sono approdati a una conclusione. I punti sui quali si sta discutendo riguardano l’imposta una tantum da pagare per il rientro e quella annuale che potrebbe essere versata dalle banche elvetiche nella figura di sostituti di imposta: si ipotizza che lo Stato possa trame un gettito che va dai 10 ai 30-40 miliardi, applicando una sanzione del 20-30 per cento sulle somme trasferite; poi scatterebbe la normale imposizione annuale. Si potrebbe anche progettare l’applicazione della decisione dei diversi G7, G20 e dell’Ocse sull’automatico scambio di informazioni a fini fiscali fra i Paesi aderenti a questi organismi, con la conseguenza di una più autonoma iniziativa da parte dell’Italia nell’applicazione delle sanzioni: ma anche questo percorso presuppone il consenso della Svizzera e, dunque, un accordo con essa che potrebbe estendersi ad altri aspetti dei rapporti in materia fiscale. Insomma, al di là dei rilievi sulla natura della sanatoria, si tratta di una materia non poco complessa. E a tal proposito, va ricordato che il governo della Germania, che pure si era incamminata per un simile percorso, poi, anche per impulso del Bundestag e per l’approssimarsi, al tempo, delle elezioni politiche, vi ha seccamente rinunciato.
Il progetto italiano in discussione prevederebbe poi l’integrazione della normativa sul rientro, sempreché si raggiunga una intesa con la Svizzera, con l’introduzione del reato, ora assente nella nostra legislazione, di «autoriciclaggio», cioè il diretto «lavaggio» di denaro da parte di un soggetto, a prescindere dal reato presupposto. Ciò dovrebbe bilanciare l’atteggiamento, visto come permissivo, sul rientro dei capitali. Forse si trae ispirazione da ciò che avvenne a metà degli anni Settanta del secolo scorso quando si sanò il rientro dei capitali illegalmente esportati (all’epoca anche con gli «spalloni»), ma si trasformò l’allora illecito amministrativo valutario in illecito penale prevedendo dure sanzioni per chi non fosse stato trovato in regola, una volta decorso un dato termine dalla sanatoria. Si tratta, tuttavia, di una epoca ormai lontanissima. La stessa introduzione del reato di autoriciclaggio fa emergere più nettamente il «favor» che si pratica a chi ottiene di fare rientrare le risorse finanziarie senza correre il rischio di subire iniziative di carattere penale.
Una strada impraticabile, allora? Turarsi il naso e renderla ammissibile, ma, nel contempo, rafforzando la normativa penale per i casi di illegale esportazione che si verificheranno? E ci si muoverebbe pur con l’esempio tedesco contrario? D’altro canto, se non si fa qualcosa, si da per scontato che vi sono capitali illegalmente fuoriusciti, con evasione delle imposte e, in alcuni casi, dopo aver eventualmente commesso qualche reato, per esempio di natura societaria e, tuttavia, si resta inerti, se non vi è modo di costringere la Svizzera a segnalare i nomi dei titolari delle somme colà esportate o investite: anche questo può ritenersi un modo per salvarsi l’anima. Gira e rigira, la opzione meno dolorosa, per la stabilità del diritto e per la correttezza amministrativa, sarebbe quella di promuovere una decisione dell’Unione europea valida per tutti e con tutta una serie di elementi che militino a favore della trasparenza e del rigore in via strutturale. È sperabile che al problema il ministro Saccomanni faccia un riferimento più chiaro in occasione della Giornata mondiale del risparmio, il 30 ottobre, anche per valorizzare il risparmio correttamente formato e correttamente impiegato.