Gabriel Bertinetto, l’Unità 30/10/2013, 30 ottobre 2013
TUNNEL DEL BOSFORO MA PER ANKARA L’EUROPA È LONTANA
Nel 90° anniversario della Repubblica laica, un premier islamico inaugura l’opera sognata dal sultano. Tre secoli di storia turca apparivano ieri simbolicamente concentrati nella cerimonia per il varo del tunnel sottomarino che unirà le due sponde di Istanbul. Un’idea concepita nel 1860 dall’ambizioso Abdulmecid, trentunesimo discendente della dinastia ottomana Abdulecid. Allora scarseggiavano fondi e competenze. Il progetto era un parto della fantasia, oggi realizzato da Tayyip Erdogan, che lo ha fortemente perseguito sin dai tempi in cui era sindaco di questa megalopoli a cavallo fra Asia ed Europa. Voluto e realizzato a tutti i costi, liquidando come «protettori di stoviglie e vasellame» gli studiosi che imploravano rispetto per i formidabili reperti archeologici venuti allo scoperto durante gli scavi, sia a terra che sui fondali del mare. Trenta navi di epoca bizantina si sono salvate. Tutto il resto è stato sacrificato.
A regime saranno 75mila i cittadini di Istanbul che ogni ora compiranno nell’una e nell’altra direzione la traversata concettualmente più spericolata mai progettata sul pianeta Terra: contemporaneamente infraurbana ed intercontinentale. Quattro minuti per passare in treno da una metà all’altra dell’immensa città. Oggi nelle ore di punta l’attraversamento automobilistico su uno dei due unici ponti che scavalcano il Bosforo richiede sovrumani sforzi di pazienza.
L’hanno chiamata Marmaray, perché situata all’imboccatura del mar di Marmara e perché ospita solo rotaie, ray in turco. Ma per la disperazione degli ambientalisti Erdogan cova già il desiderio di una seconda galleria per il traffico su strada. Marmaray si estende per 13,6 km. Il tratto che scorre sott’acqua, a una profondità di sessanta metri, è lungo un chilometro e mezzo. L’investimento è costato 4 miliardi di dollari, in buona parte raccolti attraverso la Banca giapponese per la cooperazione internazionale. Ed è la nipponica Taisei, l’azienda che ha svolto gran parte dei lavori. Agli ingegneri del Sol Levante la Turchia si è rivolta conoscendone la collaudata capacità tecnologica di sfidare la minaccia dei terremoti. La faglia sismica nord-anatolica passa a soli venti chilometri da qua, e gli esperti prevedono una devastante scossa pari a sette gradi della scala Richter entro i prossimi trent’anni.
Erdogan si riconferma agli occhi dei connazionali come leader capace di pensare in grande e di trasformare le idee in atti concreti. Con il tunnel lancia indirettamente un messaggio all’Europa, sottolineando quanta importanza rivesta per la Turchia il collegamento con il Vecchio continente.
Lunedì prossimo riprendono i negoziati fra Ankara e la Ue in vista di una futura adesione turca all’Unione. Le trattative vanno avanti da anni e sono particolarmente complesse. A Bruxelles non tutti la pensano allo stesso modo. Il club dei turco-scettici annovera membri potenti, come Francia e Germania. Quest’ultima in particolare preferirebbe un rapporto di partnership privilegiata con Ankara piuttosto che una completa integrazione nella Ue. Ma con il passare del tempo l’entusiasmo europeista è scemato anche fra i turchi. Sia per i tempi lunghi della trattativa sia per la linea scelta dal governo Erdogan, secondo cui il legame con l’Europa è importante ma non privo di alternative.
La crescita economica degli ultimi anni ha contribuito a diffondere questo tipo di atteggiamenti in alcuni segmenti della popolazione. Restano fortemente europeisti i settori sociali e le forze politiche che non si fidano del partito islamico al governo. Ma secondo alcuni analisti Erdogan è più interessato all’integrazione europea di quanto non faccia apparire. L’alternativa a un saldo rapporto politico e commerciale con i Paesi della Ue è un maggiore inserimento nel mondo delle nazione arabe o di tradizioni musulmane, proprio in un momento in cui questa parte del pianeta è attraversata da crisi e soggetta a rischi di crescente instabilità. Come dice Lami Bertan Tokuzlu, docente di legge all’università Bilgi di Istanbul, «il quaranta per cento degli scambi turchi avvengono con l’Europa. Sostituirla è possibile solo investendo su Paesi terzi, ma i mercati mondiali non sono stabili. Ad esempio le aziende turche hanno grossi problemi nei paesi del Medio Oriente, Libia, Tunisia. Quindi non penso che almeno per ora investire principalmente fuori dalla Ue sia una prospettiva realistica».