Andrea Astolfi, l’Unità 31/10/2013, 31 ottobre 2013
ALTRO CHE SAUDADE
HAI IL BRASILE INTERO AI TUOI PIEDI, TI PROPONGONO UNA MAGLIA, IL MONDIALE DA GIOCARE IN CASA, UN POSTO SICURO AL CENTRO DELL’ATTACCO ACCANTO A NEYMAR, E TU SEI BRASILIANO, SEI NATO IN BRASILE, E CHE FAI? SCEGLI LA SPAGNA. Giocherai con la Spagna. Andrai in Brasile con la Spagna. Per quanto assurda, la storia di Diego Costa è anche vera. L’attaccante dell’Atletico Madrid, tra i due passaporti in tasca, ha pescato quello spagnolo. E ha scelto, potendolo in questo calcio dai confini sempre più esili, la Roja. Poteva e l’ha fatto, anche se un paio di partite – amichevoli – le ha già giocate in maglia verdeoro. Ora le partite, quelle vere, saranno sotto un’insegna acquisita.
Così parlò Diego da Silva Costa: «È stata una decisione difficile per tutto quello che significa dover decidere fra il paese in cui sei nato e il paese che ti ha dato tutto, che è la Spagna». Legittimo sì, ma giusto? I brasiliani hanno un’altra idea: «Diego Costa è stato sedotto, adesso gli va ritirata la cittadinanza brasiliana», parole del presidente della Cbf José Maria Martin, che in quella seduzione sente profumo di denaro. Così Diego Costa diventa un caso, un ordigno che rischia di esplodere in seno alla Fifa, il cui regolamento consente il cambio di bandiera nel caso in cui un giocatore non abbia disputato match ufficiali con una delle due nazionali. I primi match ufficiali, ora, per Spagna e Brasile saranno al Mondiale, e fino ad allora sarà battaglia. Una battaglia legale, perché quella morale, a sorpresa, il Brasile l’ha già persa.
È la fine di un mito, quello della maglia verdeoro, il lenzuolo nel quale Pelé pianse lacrime di gioia a Stoccolma, il tessuto di gloria che avvolse Garrincha, Didì, Zico, Falcao, Romario, Ronaldo, una mitologia legata a quel giallo e a quel verde, al futbol bailado, al jogo bonito, all’idea di perfezione che solo quel giallo e quel verde, con i suoi inarrivabili splendori e le sue tragiche miserie, potevano trasmettere. Ed è la fine – da tempo, per il resto, avviata – del calcio delle nazionali, oggetto polveroso in un mondo in cui si va a vivere, ci si sposa, ci si stabilizza lontano dal luogo natìo, al punto da non averne più un legame, se non tecnico, legale, e non più indissolubile. Sono serviti (bastati) cinque anni di soggiorno ininterrotto in Spagna a Diego Costa. È il calcio, ma anche lo sport, delle naturalizzazioni semplici e spesso pilotate, e anche comprate, un gioco che si muove sul crinale di regole sdrucciolevoli.
Un brasiliano che rifiuta il Brasile, però, non si era mai visto. Un brasiliano, parole del ct Scolari, che «gira le spalle a un sogno di milioni di persone, che rifiuta di rappresentare la nostra nazionale cinque volte campione del mondo in Brasile». Un brasiliano, è l’espressione che più gira sui media di Rio e dintorni, che tradisce.
Si era visto in passato un brasiliano, Marcos Senna, che accettava la Spagna – era il 2008 –. Quella Spagna vinse l’Europeo, lui dirigeva il traffico in mezzo. Fu il primo non europeo a vincere un Europeo. Altri sudamericani, in epoche di regole bucate come colapasta, entravano ed uscivano da nazionali europee. Anche Altafini giocò sei volte in maglia azzurra. Poi la Fifa mise un punto: chi gioca per una nazionale, non può più farlo per un’altra.
Diego Costa, 10 gol in 11 partite con l’Atletico, 25 anni e una carriera da seconda scelta fino a tre mesi fa, ora chiede al popolo del suo paese di non considerarlo, appunto, «un traditore», ma se dovesse incontrare il Brasile, magari al Maracanã, e magari in finale? È impossibile pensare a cosa il popolo del suo paese possa riservargli. «Se la nazionale diventa come un club allora è finita» scrive O Globo, e forse è così.
«Il Brasile combatterà fino alla fine per avere ragione» assicura Martin, ma da quella ragione, ammesso che arrivi – il punto è: Diego Costa ha giocato in amichevole contro la Svizzera, la Svizzera ha vinto e quel successo è stato conteggiato nel ranking Fifa, ma quella presenza non è stata contabilizzata e considerata una preferenza –, potrà scaturire al massimo una nuova regola. Che non ripagherà i brasiliani di uno storico no, di uno sgarbo inimmaginabile, proprio alla vigilia del loro Mondiale.