Renato Brunetta, L’Unità 31/10/2013, 31 ottobre 2013
«GABANELLI NON DICE TUTTO SUI NUMERI DELLA RAI» [LETTERA DI RENATO BRUNETTA]
Gentile Direttore,
ieri sul suo giornale, la nota economista Milena Gabanelli mi invita a rimandare ogni valutazione sui compensi dei conduttori Rai, perché a suo dire non conosco i numeri di costi e ricavi delle trasmissioni. E in questo coglie al centro il problema: l’opacità dei numeri della tv di Stato. Pochi sanno, per esempio, che mentre crollano i ricavi pubblicitari, con una riduzione del 23% nel 2012 e previsioni di almeno un ulteriore -15% nel 2013, crescono i costi per acquisti di beni e servizi dall’esterno.
I conduttori, Gabanelli per prima, nascondono la testa sotto la sabbia e dichiarano che, in questo quadro di grande crisi aziendale, loro almeno fanno guadagnare perché i ricavi dei loro programmi superano i costi. Tutto da dimostrare. Quali voci entrano nei costi? Solo i costi dei singoli programmi o anche, come è corretto, quota parte dei costi generali? E in che misura? E sulle entrate pubblicitarie i contratti prevedono o no una restituzione in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di ascolto? Sono questi solo esempi di una trasparenza richiesta e mai attuata.
Ricordo all’economista Gabanelli, inoltre, che non è corretto sostenere che un programma porti all’azienda più ricavi che costi, più introiti che spese. Il palinsesto delle reti televisive è diviso in fasce orarie, si chiama day time: in base alla fascia oraria nella quale è collocato un programma, cambia il potenziale pubblico televisivo.
In un’azienda sana, e a maggior ragione nella televisione di Stato, una trasmissione che realizza più ricavi che costi, magari anche perché collocata nella fascia oraria con maggiori ascolti e introiti pubblicitari, dovrebbe e deve servire per garantire alla stessa azienda la possibilità di fare altri programmi in altre fasce orarie, meno “nobili”, e che magari incassano molto poco dal mercato pubblicitario.
Gli alti introiti andrebbero, quindi, redistribuiti all’intero dell’azienda per finanziare i telegiornali o i numerosi programmi che vengono realizzati con molte meno spese e sono, però, il sale della democrazia e quindi del servizio pubblico che la Rai deve garantire. Numeri alla mano, la nota economista Gabanelli dovrà rivedere le sue dichiarazioni.