Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 31/10/2013, 31 ottobre 2013
«SPRECHI PLURIMI» L’INCHIESTA SUL CNEL
«Noi siamo esenti dalle regole». «Non è vero». «Noi siamo esenti dalle regole». «Non è vero». «Noi siamo esenti dalle regole». «Non è vero». Per 19 volte il Cnel ha insistito nella sua pretesa di essere al di sopra delle leggi sulla distribuzione di incarichi e consulenze. Battendo il record assoluto nella richiesta di pareri.
Lo ha fatto con l’Avvocatura dello stato, la Corte deiConti, la Ragioneria generale dello Stat5o, eminenti costituzionalisti, il Consiglio di Stato e l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. E per 19 volte tutti gli hanno dato torto: record bis. Compresa l’ultima, quando il presidente Antonio Marzano è arrivato a proporre agli avvocati dello Stato addirittura un ricorso alla Consulta, sostenendo per l’ennesima volta che per il Cnel il rispetto delle regole sui contratti pubblici «appare incompatibile con l’espletamento delle funzioni istituzionali che la Costituzione intesta a questo Consiglio e pertanto le stesse disposizioni di legge appaiono lesive della sfera di autonomia di cui questo Organo deve necessariamente disporre». Nientemeno...
I vertici del Cnel stanno sulle spine. C’è un’inchiesta della Corte dei conti sul modo piuttosto singolare con il quale sono state fatte certe spese che si avvicina pericolosamente alla conclusione.
È da gennaio che i magistrati amministrativi spulciano tra i libri del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, additato da molti, a torto o a ragione, come il più superfluo degli organi costituzionali. Oggetto dell’indagine del procuratore della Corte dei conti Angelo Raffaele De Domincis: «Vertenza 2011-01138 - Sprechi plurimi». Due parole che dicono tutto. Obiettivo, verificare la fondatezza di tre accuse: incarichi di consulenza «illegittimamente conferiti», contratti di ricerca «illegittimamente stipulati», nonché oneri di missione «illegittimamente liquidati».
Parole che pesano come macigni. E non soltanto, ovvio, per le cifre in ballo. A partire dal 2007, l’anno in cui esplose la polemica sui costi esorbitanti della politica, un po’ tutti gli organi costituzionali, tra mal di pancia e strepiti di rabbia contro chi denunciava l’andazzo, sono stati costretti a tagliare. O comunque a dare prova di buona volontà contenendo il più possibile le richieste di denaro al Tesoro. Vale per il Senato (da 503 a 494 milioni nel 2014), vale per la Camera (da 962 a 943 milioni), vale per il Quirinale (la cui dotazione è rimasta bloccata)...
Una dieta obbligata. In questi anni il Pil procapite a prezzi costanti, cioè la ricchezza prodotta da ogni italiano, è calato del 4,1 per cento, la disoccupazione è schizzata a livelli traumatici, il Mezzogiorno si è impoverito rispetto al resto del Paese tornando ai livelli del secondo dopoguerra, la vendita delle auto è precipitata ai livelli del 1964.
Solo al Cnel pare non si siano accorti di niente. Nel 2006, in coincidenza con il decollo delle polemiche sui costi della politica, arrivavano dallo Stato 15 milioni; nel 2013 il contributo del Tesoro ha raggiunto la cifra record di 19 milioni 370.333 euro. Senza contare un tesoretto di quasi 10 milioni accumulato anno dopo anno e che continua a crescere senza mai essere restituito. L’aumento monetario della dotazione erariale è stato del 29,1 per cento. La crescita reale, al di là dell’inflazione, del 13,6 per cento.
Dal 2008 al 2013 il Cnel ha distribuito 104 consulenze a singole persone, per un ammontare di 2 milioni 262 mila euro. Più 54 contratti di ricerca a società e centri studi per 2 milioni 271 mila euro. Totale: 4 milioni 533 mila euro e spiccioli. Somma cui bisogna aggiungere 964 mila euro di spese per le missioni all’estero e 108 mila di viaggi in Italia. Più 3 milioni 282 mila euro di rimborsi spese a coloro dei 65 consiglieri che abitano fuori Roma e vanno una volta al mese nella capitale per partecipare alle riunioni. Oltre, logicamente, al loro stipendio. Al presidente Marzano spettano 213 mila euro l’anno (più un vitalizio da ex parlamentare dell’ordine di 5 mila euro lordi al mese), mentre ai due vice presidenti Enrico Postacchini della Confcommercio e Salvatore Bosco della Uil toccano 3.500 euro al mese e gli altri 62 consiglieri semplici si devono accontentare di un assegnuccio mensile di 2.130 euro. Lordi, s’intende, più i rimborsi spese.
Fanno fare un salto sulla sedia, certe voci che si trovano nel bilancio del Cnel. Come gli 8 milioni 543 mila euro di non meglio precisate «spese per l’espletamento delle funzioni istituzionali», quattro milioni più del 2012: il bello è che diventeranno addirittura 15 nel 2014. Oppure il milione e mezzo di spese per «pubblicità, comunicazione e relazioni istituzionali», contro gli 850 mila euro del 2012. O ancora, i 562 mila per la retribuzione degli addetti al presidente e ai due vicepresidenti (!), rigorosamente «esterni alla pubblica amministrazione»: 97 dipendenti, che costano 3 milioni e mezzo più buoni pasto (249 mila euro nel 2012), incentivi (566 mila) e straordinari (300 mila) evidentemente non erano sufficienti. Per non parlare dei 600 mila per la «partecipazione di presidente, vice presidenti e consiglieri ai lavori del consiglio». E i 120 mila per le spese di viaggio.
I viaggi, appunto. Girano come trottole, quelli del Cnel. A cominciare da Marzano, nominato nel 2005 dopo aver dovuto liberare la poltrona di ministro delle Attività produttive per favorire il rientro di Claudio Scajola nel terzo governo di Silvio Berlusconi. Da quando è arrivato ha varcato 92 volte la frontiera italiana. In media un viaggetto ogni 33 giorni. Ma non è l’unico frequent flyer dell’elegante Villa Lubin, nel quartiere romano dei Parioli, a giudicare dall’elenco sterminato delle 147 missioni ufficiali all’estero fatte soltanto a partire dal 2008. Dirigenti e funzionari del Cnel hanno visitato praticamente ogni angolo del globo. Che cosa ci vanno a fare? Incontri con i loro colleghi di organismi analoghi negli altri paesi, riunioni, conferenze, assemblee. Tipo: Incontro di lavoro su «Impatto sulla crisi globale. Il punto di vista della società civile!», a Mosca. O il seminario su «Donne e dialogo sociale» a Salonicco. Oppure la conferenza internazionale «Balancing economic growth in Asia...» a Bangkok. Senza poi contare le 55 missioni in Italia. Un calendario fittissimo. Quanto ai vantaggi che il nostro Paese ne può aver ricavato, è un’altra faccenda. Nato nel 1958 per favorire il dialogo fra le cosiddette «parti sociali», è dagli anni Settanta che non serve più a quello. Pian piano si è trasformato in un parcheggio di sindacalisti, funzionari delle organizzazioni datoriali e politici sul viale del tramonto. Adesso però siamo al bivio: o gli si dà un ruolo serio oppure è meglio chiuderlo.
Dice il sito che dal 1958 ha «elaborato 970 documenti», al ritmo di uno e mezzo al mese. E a un prezzo per il contribuente certo non proprio banale. Se il Cnel fosse costato allo Stato come oggi per 55 anni, farebbe più di un milione a documento. Fra questi, 14 disegni di legge: in media uno ogni quattro anni. Nessuno, manco a dirlo, andato in porto. Per non parlare dei contenuti, di tutti quei rapporti e quei dossier. Si va dalle statistiche sul trasporto merci alla criminalità cinese organizzata in Italia, per arrivare ai dati sul recepimento delle direttive sui Comitati aziendali europei, ai «percorsi locali di riforma del welfare», e all’«Uguaglianza uomo-donna nel lavoro dignitoso». Senza trascurare «l’organizzazione industriale del settore idrico integrato».
Ma la Corte dei conti non contesta il contenuto delle consulenze pagate con tutti quei soldi pubblici. Nel mirino dei magistrati contabili c’è il meccanismo con cui vengono assegnati tanti incarichi esterni. Tutti con affidamento diretto, senza cioè rispettare le procedure comparative che prevede la legge per i contratti di importo superiore a 20 mila euro, limite innalzato nel 2011 a 40 mila, con l’obbligo di mettere a confronto almeno un certo numero di offerte. E senza che nessuno dei vecchi revisori, ora sostituiti, avesse mai alzato un dito. Ma erano scelti fra i consiglieri: controllori di se stessi. Eppure uno che contestava quei metodi votando regolarmente in assemblea contro il bilancio c’era. Roberto Orlandi, agronomo, rappresentante delle categorie professionali. Quando all’inizio del 2012 hanno ridotto a metà il numero dei consiglieri, è stato fra i primi a saltare.