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 2013  ottobre 31 Giovedì calendario

IL CALCETTO DI GOMORRA OGNI CLAN UNA SQUADRA E IN PREMIO LA DROGA


Quei bravi ragazzi giocavano a calcetto nel campo di Wimbledon (quei bravi ragazzi non hanno problemi a giocare a calcetto in un campo intitolato al maggior torneo di tennis) dalle parti delle Case Celesti, a Secondigliano, territorio dei clan. Dice che non bisogna umanizzarli, gli uomini delle cosche, e viene amaramente da ridere, su quest’idea da anime belle circa i camorristi che non sarebbero uomini, e invece la ferita sanguinante è proprio lì: sono uomini, giocano a calcio, si sfidano in un torneo in cui ogni squadra ha un «mister» che però non è un mister come Allegri o Mourinho, è un capoclan, e quindi in palio non c’è un’inutile, sciocca coppa di volgare metallo, ma droga, da far circolare nell’assetato mercato campano e altrove. La storia ha dell’incredibile? Sembra uscita da una sceneggiatura del miglior Martin Scorsese? Come volete, del resto sono le parole di un collaboratore di giustizia a riferirla, Armando De Rosa, famoso per aver già sputtanato Mario Balotelli asserendo che il noto attaccante del Milan, come attività ludica, senza fini di lucro, spacciò droga a Scampia nel 2010, ricevendo la smentita del calciatore che disse di odiare la droga e che solo un bugiardo poteva affermare il contrario. Malasciamo che siano i magistrati dell’antimafia di Roma che hanno interrogato De Rosa, nel marzo scorso,a stabilire l’attendibilità delle rivelazioni di De Rosa, a noi interessa fare l’ipotesi che siano vere e immaginare un capitolo di Gomorra in cui i clan invece di spartirsi la droga con accordi di cartello o mattanze, scelgono la via del campetto di calcio, delle tattiche di gioco, della campagna acquisti per ogni singola squadra, del goal all’ultimo minuto che vale la partita di roba in palio. A noi interessa il fatto che, vero o falso che sia, se la fantasia di un camorrista sia pure collaboratore come De Rosa, partorisce lo scenario di un torneo di calcetto tra clan, questa fantasia ha un valore antropologico, ci dice qualcosa di più su quel fenomeno complesso che è la camorra che, con buona pace delle succitate anime belle, è agito da uomini, sia pure obbedienti al verbo di un’efferata malavita.
E allora la cosa da capire, sempre tenendo fede alle parole di De Rosa, è che le partite, che si sarebbero cominciate a disputare fin dal 2002 ogni anno, non venivano decise ai supplementari con l’estrazione dei kalashnikov da parte dei panchinari, né con coltellate all’arteria succlavia dei portieri avversari, ma infarcendo le proprie squadre, ognuna sotto controllo di un boss e di un rione, di giocatori professionisti o semiprofessionisti, non soldati di camorra, insomma calciatori a tutti gli effetti. I figli del boss Paolo di Lauro, Vincenzo e Marco, rispettivamente secondo e quarto figlio, avevano ciascuno una propria squadra. Marco è latitante dal 2004 ma, riferisce il pentito, «sicuramente giocava». Poi c’erano le squadre di Luigi Alberti della Vela Gialla di Scampia, nelle cui fila militavano «ragazzi provenienti dalle serie cadette dell’hinterland napoletano », quella di Paolo Abbatiello del clan Licciardi irrobustita da «ragazzi estranei alla criminalità», e quella di Carmine Pagano, formata di ragazzi della zona sotto il suo controllo ma nessuno, a rigore, affiliato camorrista. Armando De Rosa dice addirittura che così ha conosciuto i vari capoclan, vedendoli giocare sul campo di calcetto, oppure semplicemente sapendo che erano gli allenatori-selezionatori delle squadre che nel torneo si disputavano il trofeo in polvere bianca.
I magistrati della procura antimafia romana, che hanno sentito il pentito, avranno ascoltato con interesse l’albo d’oro delle vittorie, per sapere quale clan, anno dopo anno, si sarebbe aggiudicato la droga. Chissà se avranno avuto la curiosità di chiedere chi avrà avuto il fegato o l’incoscienza o forse la protezione sufficiente per arbitrare le partite. L’ex pm anticamorra Raffaele Cantone, ora magistrato di Cassazione, riservandosi di attendere la verifica delle rivelazioni di De Rosa,commenta che il campionato della camorra è un’altra manifestazione di quella pervasiva zona grigia, di quella perversa dinamica in cui sta il vero potere camorristico: la pratica disinvolta di comportamenti normali, quotidiani, coinvolgendo ragazzi esterni ai clan per i suoi fini criminali. E si stupisce che in tanti anni di sciabolate all’incrocio dei pali e rovesciate per un trofeo davvero stupefacente nessuno abbia mai fatto una telefonata, una segnalazione alla giustizia. Erano solo bravi ragazzi che giocavano a calcetto, avranno pensato. Domenica partita, lunedì mattanza.