Gl.S., Macro, il Messaggero 31/10/2013, 31 ottobre 2013
PUPI AVATI: «OTTO E MEZZO FU LA MIA FOLGORAZIONE»
L’INTERVISTA
Dice Pupi Avati: «Ho deciso di fare cinema dopo aver visto “Otto e mezzo”». Diventato amico fraterno di Fellini, il regista bolognese gli è stato vicino negli ultimi anni, quelli dolorosi del declino.
Fellini lascia eredi?
«No. Ha avuto un’infinità di assistenti ma il suo cinema, legato alla sua identità e alla immaginazione, resta inimitabile malgrado qualche balbettante tentativo di fare film felliniani. Federico è unico, grazie a Dio».
A lei cosa manca di più del grande regista?
«A parte l’artista, l’essere umano che ho avuto il privilegio di frequentare. Abitavamo vicini, io al Babuino e lui in via Margutta. La sera lo accompagnavo a prendere Giulietta in chiesa, lui portava me da mia madre che diceva il rosario. Era uno dei rari intellettuali simpatici. Spiritoso, autoironico, tenero, perfino vulnerabile».
Parlavate di cinema?
«Sì, ma non solo. Lui, che aveva un rapporto problematico con il fratello Riccardo, invidiava la mia relazione felice con mio fratello Antonio. Quando nessun produttore voleva finanziarlo, e perfino le segretarie Rai lo liquidavano al telefono, ho avuto il dono di assistere al tramonto di un gigante».
Fellini è stato dimenticato?
«No, è il sinonimo di regista e non rischia la rimozione dall’immaginario collettivo. I suoi film andrebbero proiettati nelle scuole, a cominciare da “Otto e mezzo”».
Gl.S.