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 2013  ottobre 31 Giovedì calendario

TORTORA: CARO SCIASCIA, TI SCRIVO


IL CARTEGGIO
Spesso accade che coloro che amano uno stesso scrittore facciano amicizia o si ritrovino accanto nelle vicende della vita. Probabilmente, prima di tutto, il nome di un grande romanziere francese fu il crocevia che fece incontrare Leonardo Sciascia ed Enzo Tortora: Stendhal. L’autore de “La certosa di Parma” aveva avuto una vita romanzesca fra amori e campagne napoleoniche. Nell’estate del 1987, Tortora scrive: «Penso, per la Tv italiana (Rete 2) e francese, a un grande sceneggiato sulla vita di Stendhal», e più avanti: «Potremmo sottoporti registi, sceneggiatori, interpreti di prima qualità. Posso contare su un tuo cenno?». E Sciascia, del resto, in uno dei numerosi scritti dedicati allo scrittore francese, dice: «In ogni altro scrittore l’autobiografia, i momenti autobiografici, i ricordi servono ad illuminare l’opera; ma in Stendhal sono l’opera».
Del progetto non sappiamo altro; Tortora morirà nel 1988, Sciascia nel 1989. Ma la corrispondenza e l’amicizia fra lo scrittore e il presentatore erano nate quasi trent’anni prima. La prima lettera, fra le molte conservate nell’archivio della Fondazione Sciascia a Racalmuto, è del 1958. Sciascia non è ancora uno scrittore famoso, ha pubblicato pochi libri ed è appena uscito il volume di racconti “Gli zii di Sicilia”. In questa prima lettera Tortora intravede già nel giovane scrittore una grande promessa: «Egregio signor Sciascia, spero consentirà, ad un lettore, di esprimerle tutta la riconoscenza per la gioia procuratagli dalla lettura dei suoi Zii di Sicilia. È il libro più spiritoso, intelligente e vero dell’anno. Bravo! Bravo di cuore. Sono Enzo Tortora, presentatore alla televisione, animale (in privato) meno fatuo di quanto sia in trasmissione».
DAL LEI AL TU
Dopo un incontro a Caltanissetta, in una lettera datata 26 febbraio 1963 in cui siamo passati dal lei al tu, dopo aver parlato di una trasmissione radiofonica dedicata a “Il consiglio d’Egitto”, Tortora regala una interessante informazione allo scrittore racalmutese: «La morte di Fenoglio mi ha tanto amareggiato: non più di tre mesi fa, ad Alba, fui a cena con lui: già distrutto ma ignaro. E mi parlò di te con infinita stima. Volevo dirtelo».
Una lettera del febbraio 1979 e una del gennaio 1983 e il tempo deve essere passato davvero perché si ritorna al lei. Poi, il 17 giugno, esplode la triste (per lui e per la giustizia italiana) vicenda giudiziaria di Tortora.
L’INTERVENTO
Meno di due mesi dopo, il 7 agosto, dalle colonne del Corriere della sera, Sciascia, partendo dalle carenze e dalle disfunzioni dell’amministrazione della giustizia, interviene in modo fermo e lucido: «Il caso Tortora è l’ennesima occasione per ribadire la gravità e l’urgenza del problema. Un mese fa, alla televisione francese, ho dichiarato le mie perplessità e preoccupazioni relativamente alla massiccia operazione contro la camorra promossa dagli uffici giudiziari di Napoli e la mia personale convinzione che Tortora sia innocente. Non mi chiedo: “E se Tortora fosse innocente?”: sono certo che lo è. Il fatto di conoscerlo personalmente e di stimarlo uomo intelligente e sensibile (non l’ho mai visto in televisione), può anche essere considerato elemento secondario e magari fuorviante; ma dal giorno del suo arresto io ho voluto fare astrazione dal rapporto di conoscenza e di stima e ho soltanto tenuto conto degli elementi di colpevolezza che i giornali venivano rilevando. Non ne ho trovato uno solo che insinuasse dubbio sulla sua innocenza».
DOPO L’ARRESTO
Ed ecco la prima lettera di Tortora dopo l’arresto, spedita a settembre dal carcere di Bergamo: «Caro dottor Sciascia, sono Enzo Tortora. Ancora chiuso in questo tunnel assurdo, demenziale, basato sul niente. Io spero lei abbia ricevuto, da Regina Coeli, il mio commosso telegramma di ringraziamento. Lei ha visto, con occhi profetici, la tremenda realtà che mi imprigiona». Più avanti: «Dottor Sciascia, enormità che farebbero ridere un bambino vengono prese per oro colato, diffuse, pubblicizzate: può immaginare con quale strazio, per me, misto a disgusto profondissimo. Il 29, a quanto pare, potrò rivedere un giudice. E pare grossa concessione: dopo più di tre mesi di galera». Del telegramma non è rimasta traccia, ma ancora diversi anni dopo l’arresto e la morte di Tortora la moglie di Sciascia ricordava il testo: «Non ho mai disonorato la sua stima». La corrispondenza, negli anni fra l’arresto e l’assoluzione (sono anni, sia per Sciascia che per Tortora, di vicinanza con i Radicali di Pannella), si fa più frequente, più intensa: nelle lettere, evidenti sono la rabbia, il dolore, l’indignazione, ma pure la spinta a combattere.
DON ABBONDIO
Nell’estate del 1985 c’è attesa per la sentenza di primo grado. A settembre Tortora sarà condannato a dieci anni (per l’assoluzione in Appello dovrà passare un altro anno) ma, prima che la sentenza venga pronunciata, Sciascia fa sentire la sua voce ancora una volta (3 agosto 1985). Da un discorso intorno ai “Promessi sposi”, al capitolo VIII (nel quale Renzo e Lucia cercano di diventare marito e moglie introducendosi a casa di Don Abbondio, il quale riesce a rivestire il ruolo della vittima anche se è colui che ha compiuto il sopruso) Sciascia arriva fino al processo Tortora: «È facile, scampanando retorica e solleticando un mai sopito plebeismo, fare apparire una vittima come un privilegiato: ed è quel che si sta tentando di fare con Enzo Tortora. Ma il caso Tortora non sta soltanto nell’angosciosa vicenda che lui sta vivendo: è il caso del diritto, è il caso della giustizia».
E Tortora invia subito dopo una lettera che è insieme un grazie e un commento all’articolo: «Carissimo Leonardo, ho voluto attendere qualche giorno prima di scriverti. Non sarei riuscito, lì per lì, a metter giù quattro parole, tanto il tuo pezzo sul Corriere m’è parso di folgorante, già “classica” bellezza. Direi, con quel Don Abbondio rivisitato (o, semplicemente, visitato, per chi, in quel libro, non s’era affacciato mai) che tu li hai fulminati tutti: dico tutti, sorvolandoli sereno nei loro interminabili gargarismi di parole».
Un’amicizia, quella fra Sciascia e Tortora, nel segno della letteratura e della giustizia.
Vito Catalano