Federico Rampini, la Repubblica 31/10/2013, 31 ottobre 2013
MA QUALE COSPIRAZIONE È SOLO UNA STORIA DI SOLDI
[Bill O’Reilly]
Bill O’Reilly è una star del giornalismo americano. Di destra. Lui preferisce definirsi “tradizionalista” più che conservatore. Sta di fatto che il suo talkshow su Fox News, tutte le sere in orario di massimo ascolto, è un punto di riferimento per l’elettorato di destra. O’Reilly è talmente celebre che il suo sito Internet prevede addirittura un accesso “esclusivo”, a pagamento, per chi vuole sentirsi parte del club dei suoi fan più affezionati. O’Reilly è anche un autore di massa, recensito con rispetto dal New York Times, perché ha azzeccato un filone di grande successo: gli assassinii che cambiarono la storia. Lincoln, Cristo, e naturalmente Kennedy. Un po’ come fece Indro Montanelli con la storia d’Italia, O’Reilly è riuscito a compiere un’operazione divulgativa. I suoi libri, preparati con l’aiuto di uno storico di professione, sono accurati e attendibili. Scritti con il ritmo incalzante di un giallo, hanno battuto record di vendite: due milioni Lincoln, un milione per Kennedy. Mentre si avvicina il 50esimo anniversario di Dallas, e Killing Kennedy esce in Italia dall’editore Castelvecchi, intervisto O’Reilly sull’omicidio che cambiò per sempre l’America.
Fino all’11 settembre 2001, l’attentato di Dallas rimase l’unico evento di cui tutti gli americani (e tanti europei) potessero dire: ricordo dov’ero quando arrivò la notizia. E prima dell’11 settembre nessun altro evento aveva alimentato così tante teorie del complotto. Perché?
«Soldi. C’è da farci sopra un sacco di soldi. L’industria del complotto è un business fiorente. Naturalmente è favorita dal fatto che sul 22 novembre 1963 abbiamo avuto una nebbia di versioni confuse, segreti di Stato, indagini mal condotte. Se riesci a convincere il pubblico che questi non furono errori, ma la conseguenza di una cospirazione, puoi guadagnare tanto: con i libri, le inchieste tv, i film come quello di Oliver Stone».
Nel libro lei esamina tutte le piste dei possibili complotti ma alla fine non le considera credibili. Neppure quella della mafia italo- americana? Kennedy tra le sue numerose amanti ebbe anche quella del boss Sam Giancana. Il capo dell’Fbi, Edgar Hoover, era convinto che Jfk fosse ricattabile per le sue avventure extraconiugali. Suo fratello Bob, allora ministro di Giustizia, aveva lanciato delle offensive antimafia.
«Tutte le piste di complotti sono sprovviste di prove fattuali convincenti. Subito dopo che Lee Oswald sparò al presidente, Hoover volle avocare all’Fbi le indagini. Perciò aveva bisogno lui stesso di una teoria del complotto nazionale, una trama che superasse i confini del Texas, altrimenti l’omicidio rimaneva di competenza della polizia locale. Hoover mandò 80 agenti dell’Fbi a Dallas con un ordine: trovare il complotto. Non trovarono nulla».
Ma la mafia era potente, avrebbe potuto eliminare le prove del suo ruolo.
«Non c’è dubbio che nella grande criminalità organizzata c’era chi avrebbe voluto far fuori Kennedy. Questo non vuol dire che avessero i mezzi per riuscirci, né che siano stati loro. Non abbiamo alcuna prova che i boss conoscessero l’esistenza di Oswald. Attorno a lui c’erano altri personaggi sospetti, come quel petroliere russo, George de Mohrenschildt, legato alla Cia. E tuttavia la versione più probabile resta quella che Oswald agì da solo. Era disperatamente alla ricerca della celebrità. Se non avesse fatto fuori Kennedy avrebbe ucciso qualcun altro».
Un altro approccio per affrontare le teorie del complotto consiste nel chiedersi chi aveva interesse a interrompere l’èra Kennedy. Ecco, facendo la storia con i “se”: cosa sarebbe cambiato negli anni Sessanta, se Jfk non fosse stato eliminato?
«La chiave ovviamente è il Vietnam. Secondo alcuni storici, con Kennedy non avremmo avuto l’escalation che ci fu sotto Lyndon Johnson. Jfk non voleva certo che il Vietnam finisse nell’orbita di Urss e Cina, ma come comandante supremo forse avrebbe gestito meglio il conflitto. L’altro grande tema sono i diritti civili. Ma su questo terreno, chi ha ucciso Kennedy non ha affatto cambiato il corso della storia. Johnson ha rispettato e portato avanti l’agenda dei fratelli Kennedy sui diritti civili e la de-segregazione».
Lei non è certo un liberal eppure il suo libro è pieno di simpatia per Kennedy. Per le vostre comuni origini irlandesi?
«È vero, ci sono dei Kennedy dal lato materno della mia famiglia... ma i miei erano dei Kennedy poveri. Politicamente io sono un indipendente. Mi piacciono i leader che risolvono i problemi. Nella biografia di Jfk c’è una svolta con la morte del suo terzo figlio, Patrick, poco dopo la nascita. Da quel momento stabilisce un vero rapporto emotivo con la nazione, che lo rende più efficace come leader».
Somiglianze e differenze, tra Jfk e Obama?
«In comune hanno il carisma, senza dubbio. È importante, perché l’America ama il glamour. Come Kennedy, l’arrivo di Obama è stato un catalizzatore di speranze. Le analogie si fermano qui. Kennedy era il rampollo di una famiglia ricchissima, mentre Obama si è fatto da solo partendo da umili origini».