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 2013  ottobre 31 Giovedì calendario

Notizie tratte da: Oliver Sacks, Allucinazioni, Adelphi 2013, pp. 325, 19 euro. (vedi anche biblioteca in scheda e libro in gocce in scheda 2255639)Nelle persone non vedenti, o con vista compromessa, le allucinazioni visive non sono insolite e non hanno un’origine psichiatrica, ma sono una reazione del cervello alla perdita della percezione

Notizie tratte da: Oliver Sacks, Allucinazioni, Adelphi 2013, pp. 325, 19 euro.

(vedi anche biblioteca in scheda
e libro in gocce in scheda 2255639)

Nelle persone non vedenti, o con vista compromessa, le allucinazioni visive non sono insolite e non hanno un’origine psichiatrica, ma sono una reazione del cervello alla perdita della percezione. Chi le prova, capisce che si tratta di allucinazioni e non viene mai tratto in inganno. Questo disturbo è noto come sindrome di Charles Bonnet (CBS).

Varietà delle allucinazioni nella sindrome di Charles Bonnet. Si possono vedere figure geometriche, più o meno colorate, oppure quadri complessi dai particolari vividi. Nel caso di allucinazioni complesse è consueto vedere volti umani, quasi mai familiari. Alcuni volti allucinatori sembrano coerenti e plausibili, altri sono distorti. A volte capita che siano composti di frammenti giustapposti in modo casuale: un naso, parte di una bocca, un occhio, un’enorme massa di capelli ecc.

In alcuni casi persone con sindrome di Charles Bonnet vedono lettere, righe stampate, note musicali, numeri, simboli matematici. Il più delle volte ciò che viene visualizzato non può essere letto né suonato. Una paziente: «Le parole non appartengono a una lingua conosciuta, alcune non hanno vocali, altre ne hanno troppe: “skeeeeekkseegsky”. Per me è difficile afferrarle, perché si muovono velocemente da una parte all’altra e inoltre si avvicinano e si allontanano».

L’uomo che tutti gli anni, per circa sei settimane dopo lo Yom Kippur, vedeva le pareti riempirsi di lettere dell’alfabeto ebraico.

Un pianista dilettante, al deteriorarsi della vista, cominciò a vedere partiture musicali realistiche, con pentagrammi e chiavi. Ma quando guardò più attentamente si accorse che non potevano essere suonate: erano troppo complicate, con quattro o sei pentagrammi, accordi complessi costituiti da sei o più note su un unico gambo e intere file di diesis e bemolle.

Ricercatori hanno fatto scansioni del cervello ai pazienti mentre avevano allucinazioni. Hanno scoperto che le varie visioni attivano particolari aree del cervello. Per esempio se le visioni erano a colori vivaci, si attivano quelle della corteccia visiva associate all’elaborazione del colore; nel caso di facce deformi o grottesche si ha attivazione del solco temporale superiore; le allucinazioni testuali sono associate a un’attivazione anormale di una parte dell’emisfero sinistro, detto della forma visiva delle parole.

La scansione del cervello ha dimostrato che nell’immaginazione volontaria normale si attivano aree diverse rispetto alle allucinazioni.

Truman Abell, medico diventato cieco nel 1842, così descrisse le sue allucinazioni: «Sognavo spesso di riacquistare la vista e di vedere paesaggi di straordinaria bellezza. A lungo andare, questi paesaggi cominciarono ad apparirmi in miniatura, quando ero sveglio: comparivano piccoli campi, una frazione di metro quadrato, ammantati d’erba verde e di altre piante, alcune delle quali in fiore. La visione durava per due o tre minuti, e poi scompariva». A volte scorgeva schiere di migliaia di persone, splendidamente abbigliate, formare lunghe file. A un certo punto vide «una colonna larga almeno mezzo miglio» costituita da «uomini a cavallo che muovevano verso occidente. Continuarono a passare per diverse ore».

Le allucinazioni possono essere attivate anche dalla monotonia degli stimoli. È noto che i marinai, quando passano intere giornate a guardare il mare piatto, vedono cose. Lo stesso capita a chi attraversa il deserto senza punti di riferimento, o agli esploratori dei ghiacci polari. Subito dopo la Seconda guerra mondiale queste allucinazioni furono riconosciute anche nei piloti che volavano per ore nei cieli vuoti.

Esperimento degli anni Cinquanta alla McGill University. Quattordici studenti furono tenuti per giorni in celle di deprivazione sensoriale, indossando guanti e occhiali che lasciavano trasparire soltanto la differenza tra luce e buio. All’inizio i soggetti si addormentavano, poi subentravano la noia e i giochi mentali: operazioni matematiche, filastrocche, poesie eccetera. Alla fine arrivarono le allucinazioni: cambi di colore del campo visivo, punti luminosi (in tutti i soggetti dell’esperimento), poi forme come «motivi di carta da parati» (in 11 soggetti), quindi oggetti singoli (7 soggetti), infine scene complesse. Uno disse di vedere scoiattoli che portavano sacchi sulle spalle marciando su un campo innevato. Scene di questo tipo furono descritte da 3 soggetti.

L’uomo che, in seguito a un trauma cranico, perse l’olfatto. Dopo qualche mese gli sembrò di averlo recuperato non appena riuscì a sentire di nuovo l’odore del caffè. Si accese la pipa e provò di nuovo l’aroma di tabacco. Tornò dal neurologo il quale, dopo attento esame, gli disse che non c’era stata guarigione: aveva delle allucinazioni olfattive.

Alcune volte gli odori allucinatori non sono costituiti da un solo aroma. Per esempio una paziente annotava: «Posso descrivere le allucinazioni come un amalgama di odori: metallo e deodorante roll-on; torta agrodolce pesante; plastica fusa in un mucchio di spazzatura di tre giorni».

Le voci udite dalle persone con schizofrenia tendono a essere accusatorie, minacciose, derisorie e persecutorie. Nelle normali allucinazioni uditive ciò non accade. L’allucinazione uditiva più comune consiste nel sentir pronunciare il proprio nome, da una voce familiare oppure no, in un luogo silenzioso e vuoto.

Alcuni ricercatori ritengono che le allucinazioni uditive siano il risultato di un’incapacità di riconoscere come proprio un discorso generato interiormente.

Le allucinazioni uditive non sono costituite soltanto da voci: più spesso si tratta di sibili o ronzii ininterrotti (tinnito) che accompagnano la perdita dell’udito.

Il giovane medico che udì allucinazioni di allarmi collegati ai macchinari per rilevare funzioni vitali e battiti dei pazienti dopo esser trascorso più di 30 ore consecutive all’ospedale.

La paziente che udì una parte della canzone “O come, all ye faithful” diciannove volte e mezzo in dieci minuti.

Il violinista Gordon B. che a volte udiva un brano allucinatorio mentre, a un concerto, stava eseguendo un pezzo completamente diverso.

Non è possibile iniziare o fermare volontariamente le allucinazioni musicali. In alcuni casi, però, le persone riescono a sostituire un brano di musica allucinatoria con un altro. Un paziente disse di avere un «jukebox intracranico»: scoprì di poter passare a suo piacimento da una canzone all’altra, purché vi fosse una qualche somiglianza di stile o di ritmo. Non poteva però spegnere il «jukebox».

Una paziente malata di Parkinson da sempre sperimentava allucinazioni (si vedeva sdraiata su un prato, o cullata dalle acque di un ruscello). Quando le furono dati dei farmaci (L-dopa), le visioni assunsero un carattere sociale e sessuale. Parlando col medico: «Non vorrà proibire un’allucinazione benevola a una vecchia signora frustrata come me!». Convenirono che, siccome erano allucinazioni benevole e controllabili, avrebbe potuto tranquillamente abbandonarvisi. Così la signora non si consentì mai allucinazioni prima delle otto di sera e ne conteneva la durata a non più di trenta o quaranta minuti. Se qualcuno la tratteneva troppo a lungo, non lasciandola libera di avere le sue allucinazioni, spiegava con garbo che stava aspettando «un signore che veniva a a farle visita da fuori città» e che si sarebbe potuto offendere se lo avesse lasciato ad aspettare per troppo tempo.

Théophile Gautier nel 1844 mise piede al Club des hachichins. L’hashish, sotto forma di una pasta verdastra, andava molto di moda a Parigi. Gautier ne consumò un pezzo consistente, «grosso come un pollice». Iniziò ad avere allucinazioni: «A poco a poco il salotto si era riempito di figure straordinarie, come se ne trovano solo nelle acqueforti di Callot e nelle acquetinte di Goya; un’accozzaglia di orpelli e di cenci caratteristici, di forme umane e bestiali… Assai incuriosito andai dritto allo specchio. Potevo essere scambiato per un idolo indù o giavanese: la fronte si era alzata, il naso, allungato a proboscide, mi si incurvava sul petto, le orecchie mi spazzavano le spalle e, per aggravare il mio disappunto, ero color indaco, come Shiva, il dio blu».

Lo psicologo e fisiologo Heinrich Klüver che sperimentò su di sé la mescalina, vide «tappeti orientali trasparenti, ma infinitamente piccoli… motivi di carta da parati… quadrati concentrici… forme architettoniche, contrafforti, rosoni, decorazioni vegetali, greche». Secondo Klüver queste allucinazioni potevano presentarsi in molte altre condizioni, per esempio emicrania, deprivazione sensoriale, ipoglicemia, febbre, delirium.

Le allucinazioni dell’Lsd descritte negli anni Sessanta da Daniel Breslaw durante un esperimento alla Columbia University: «La stanza è alta quindici metri. Ora sessanta centimetri. Tutto quello che i miei occhi mettono a fuoco si dissolve in vortici, disegni, motivi ripetuti. Ecco il dottore. La sua faccia brulica di pidocchi. Ha occhiali grandi come pentole a pressione e i suoi occhi sono quelli di certi pesci enormi. Un poggiapiedi nell’angolo si contrae spasmodicamente a scatti; diventa un fungo, poi si blocca e balza sul soffitto. Sul volto del ragazzo dell’ascensore cresce del pelo, ed egli diventa un amichevole gorilla, sempre più grosso».

Dostoevskij soffriva di attacchi epilettici preceduti da crisi «estatiche» (capaci di generare sentimenti di estasi e gioia). La prima gli capitò un anno alla vigilia di Pasqua: «Ebbi la sensazione che il cioelo fosse disceso sulla terra e mi avesse inghiottito. E in verità giunsi a Dio e fui da lui penetrato (…) Tutti voi che siete sani non riuscite minimamente a comprendere che felicità ci possa essere, la felicità che noi epilettici proviamo nell’istante prima dell’attacco. Non so se questo senso di beatitudine duri secondi, ore o mesi, ma, credetemi, non cambierei tutte le gioie della vita con quello stato di assoluta felicità».

La sindrome di Alice nel Paese delle meraviglie, cioè le allucinazioni tipiche di quando si ha la febbre. Sono relative soprattutto alla percezione di sé: il corpo sembra restringersi e poi espandersi, diventare minuscolo e poi gigantesco.

Vladimir Nabokov nel delirium della febbre sentiva «sfere enormi e numeri immensi gonfiarsi senza sosta nel cervello dolorante. Avevo letto di un certo indù che era in grado di calcolare in due secondi esatti la radice diciassettesima di, diciamo, 3529471145760275132301897342055866171392 (non sono sicuro di aver azzeccato la cifra; comunque la radice era 212). Questi erano i mostri che allignavano nel mio delirio».

Il poeta Richard Howard, operato alla schiena, in ospedale cominciò a vedere piccoli animali camminare sul soffitto. Di dimensioni simili a topi, avevano testa simile a quella dei cervi, si muovevano come creature vive. Il giorno successivo vide medici e personale dell’ospedale vestiti come per una rievocazione storica.

Henry James, durante una febbre alta da polmonite, pretese di dettare un romanzo in cui lui era Napoleone che donava ai suoi veri fratelli territori e paesi e concedeva loro la responsabilità di decorare «certe stanze, qui al Louvre e alle Tuileries».

W.D.Rees, medico britannico, intervistando trecento persone che avevano perso il coniuge da poco tempo, scoprì che circa metà di esse aveva avuto illusioni o allucinazioni del defunto. Poteva trattarsi di fenomeni visivi o uditivi, o di entrambi i tipi (alcuni avevano delle conversazioni con gli scomparsi). La probabilità delle allucinazioni, che si protraevano per mesi o anni, aumentava in proporzione alla lunghezza del matrimonio.

Alcuni sopravvissuti ai campi di concentramento sono tormentati da allucinazioni olfattive: sentono improvvisamente il puzzo dei forni a gas.

Sopravissuti all’attentato del World Trade Center di New York, tormentati per mesi da allucinazioni olfattive dell’odore dei detriti bruciati.

Linneo soffrì di allucinazioni autoscopiche: vedeva cioè un altro sé compiere i suoi stessi movimenti. Scrive Macdonald Critchley: «Spesso in giardino Linneus vedeva “il suo altro sé” che camminava parallelamente a lui. Il fantasma imitava i suoi movimenti, per esempio si chinava per esaminare una pianta o per cogliere un fiore. A volte, in biblioteca, l’alter ego occupava il suo posto sullo scrittoio».

Una volta Linneo, durante una dimostrazione per gli allievi, decise di andare a prendere un oggetto nella sua stanza. Aprì la porta per entrare ma subito si fermò dicendo: «Oh! Sono già qui».

Il doppio eautoscopico, a differenza di quello autoscopico, non si limita a riproporre postura e movimenti del soggetto, ma ha pretese di autonomia e interagisce con lui. La coscienza e il senso del sé della persona tendono a spostarsi dall’originale al suo doppio, provocando profondo disorientamento.

Il caso dell’uomo descritto dal medico A.L.Wigan nel 1844. Questi poco a poco «si convinse di essere perseguitato dal suo “altro sé”, che discuteva spesso con lui tenendogli testa ostinatamente e, con sua grande mortificazione, talora lo confutava: la qual cosa lo umiliava oltre misura (…) A lungo andare, stremato da queste molestie, dopo aver ben ponderato, decise che non avrebbe vissuto un anno di più: pagò tutti i suoi debiti, incartò in involti separati il necessario diviso per settimana e poi aspettò, con la pistola in mano, la notte del 31 dicembre: non appena l’orologio battè la mezzanotte si sparò in bocca».

Guy de Maupassant, malato di neurosifilide, era solito vedere un altro sé: «Quasi ogni volta che torno a casa, vedo il mio doppio. Apro la porta e vedo me stesso seduto in poltrona».

Quasi tutti quelli che subiscono l’amputazione di un arto sviluppano in pochi giorni l’allucinazione dell’arto fantasma, continuano cioè a vederlo e sentirlo come parte del corpo. L’arto allucinatorio è in tutto uguale a quello che non c’è più: un piede fantasma può avere, per esempio, una borsite all’alluce se questa era presente nel piede reale; un braccio fantasma può portare l’orologio, se il braccio reale lo portava ecc.

La presenza di un arto fantasma è molto utile quando si indossano protesi: con una protesi adatta, l’arto fantasma scivola in essa, «come una mano in un guanto», dicono molti pazienti. In questo modo la protesi può essere usata come il vero arto.

L’ammiraglio Nelson, dopo aver perso il braccio destro in battaglia, sviluppò un arto fantasma la cui mano era sempre stretta a pugno, con le dita dolorosamente conficcate nel palmo.