Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 31 Giovedì calendario

MANAGER GAMBIZZATO CONFESSANO I DUE ACCUSATI “SIAMO STATI NOI A SPARARE”


Due documenti per rivelare che, a sparare all’ad di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, ferito alle gambe a colpi di pistola la mattina del 7 maggio 2012 a Genova, sono stati proprio loro, gli anarchici del nucleo Olga-Fai Informale, i torinesi Alfredo Cospito e Nicola Gai, arrestati da Ros e Digos nel settembre 2012. I pm di Genova Silvio Franz e Nicola Piacente hanno chiesto per loro una pesante condanna nell’udienza con rito abbreviato di ieri: 12 anni per Cospito, 10 per Gai. Sentenza, dopo l’intervento della difesa, il 12 novembre prossimo. L’avvocatura dello Stato (avvocato Gian Marco Rocchetta) ha chiesto un risarcimento di un milione di euro, seguito dalla parte civile che tutela gli interessi della vittima.
Tribunale blindato, dopo le minacce dei giorni scorsi nei confronti di inquirenti e istituzioni da parte di questo segmento anarchico che ha scelto la strada dell’eco-terrorismo. Clima da Anni di Piombo: amici, familiari e compagni di lotta, hanno accolto Cospito e Gai con cori, slogan e insulti rivolti al giudice Annalisa Giacalone (aperta un’inchiesta per oltraggio, procede la procura di Torino nei confronti dei due imputati): «Libertà per tutti e tutte» e poi saluti affettuosi: «Come siete belli...». «Ti salutano i tuoi», dice un compagno a Gai che, libero dalle manette, saluta sorridendo a pugno chiuso.
Cospito è il secondo ad arrivare. Stesso entusiasmo. Poi si siede accanto al suo avvocato di fiducia, Caterina Calìa, e si rivolge direttamente al giudice: «Adesso inizio a leggere il mio documento». «Non può farlo, non è questo il momento delle dichiarazioni spontanee, deve seguire le regole», replica il magistrato. Cospito: «Non riconosco questo Tribunale, leggo e me ne vado». Poi ha iniziato a leggere, incurante dei richiami. Gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno afferrato e condotto fuori dall’aula, lui ha gettato i fogli contro il giudice. Stessa scena per Gai.
Nei due documenti, una confessione-rivendicazione piena. Con un avvertimento: «Il nucleo Olga-Fai/Fri è costituito solo da noi due, non cercate altri anarchici, abbiamo fatto tutto da soli».
Lo scritto di Cospito, titolo: «Dal ventre del Leviatano», oltre alle citazioni di Bakunin ed Edgar Allan Poe, riporta anche una frase che avrebbe pronunciato il manager ferito: «Bastardi... so chi vi manda!». Poi: «In una splendida mattina di maggio ho agito e in quelle poche ore ho goduto appieno della vita... Uno dei maggiori responsabili del disastro nucleare che verrà è caduto ai miei piedi». Segue una complessa analisi delle ragioni che lo hanno indotto a ferire un uomo. E conclude: «...Adinolfi lo abbiamo visto sorridere sornione dagli schermi televisivi, atteggiandosi a vittima, lo abbiamo visto dare lezioni nelle scuole contro il terrorismo... Ma io mi chiedo cos’è il terrorismo? Un colpo sparato, un dolore intenso, una ferita aperta o la minaccia incessante che una delle sue (di Adinolfi, ndr) centrali nucleari ci vomiti addosso morte e desolazione?».
Si prosegue con un omaggio all’anarchico svizzero Marco Camenisch, in carcere per l’omicidio di un poliziotto. Infine: «Morte alla civilizzazione, morte alla società tecnologica, lunga vita alla Cospirazione delle Cellule di Fuoco, lunga vita alla Fai/Fri. Viva l’Internazionale Nera, Viva l’anarchia».
Dettagli tecnici: la pistola Tokarev comprata per 300 euro; solo cinque appostamenti prima dell’agguato; la facilità per avere le informazioni su indirizzi e abitudini del manager. E una precisa minaccia: «Non c’è bisogno di una struttura militare per colpire chiunque». Ancora: «Nicola guidava lo scooter, sono sceso e ho sparato». Rimpianti: «Persi secondi preziosi per ascoltare la frase urlata di Adinolfi, lui riuscì a leggere in parte i numeri di targa... non basterà certo la condanna di questo tribunale a fare di noi i cattivi terroristi e di Adinolfi e Finmeccanica i benefattori dell’Umanità».
La confessione di Gai, figlio di un imprenditore di Moncalieri, è nel secondo documento: «Siamo stati noi soli, non vi affannate a cercare complici, non ci sono». Altro: «Ho deciso di smetterla di partecipare a proteste simboliche (contro la devastazione della natura e dei territori, ndr) che troppo spesso non sono altro che manifestazioni di impotenza». Scelta finale: sabotaggi e «azioni». L’anarchico si sofferma sui trasporti di scorie nucleari, via Val Susa (dove ci sono stati scontri e arresti) verso la Francia. Appello finale: «Amore e complicità per le compagne e i compagni che continuano ad attaccare in nome di una vita libera dalle autorità».