Paolo Mastrolilli, La Stampa 31/10/2013, 31 ottobre 2013
“ALLA CLOCHE DELL’F 35 NEL CENTRO DI MANHATTAN”
Un Mig 29 mi sta inseguendo. Si è piazzato dietro alla coda del mio F 35, e i sensori di bordo avvertono che è pronto ad abbattermi.
Con una manovra spericolata, da vomitare la colazione e la cena della sera prima, riesco ad alzare il caccia, virare, e sorprendere il nemico. Mi piazzo dietro di lui e accelero: Mac 1,6, la massima velocità possibile, ben oltre il muro del suono. Muovendo il mouse per la puntatura, con un piccolo bottone montato sulla leva sinistra dei comandi, riesco ad inquadrarlo. Una scritta verde luminosa si accende sul touch screen davanti ai miei occhi, e ordina: «Shoot», spara. Obbedisco, premendo il pulsante rosso che sta in cima alla leva destra di pilotaggio. Nel giro di cinque secondi si apre la botola che contiene le armi, e un missile Aim-120 parte verso l’obiettivo. Lo vedo spuntare sotto la mia cabina di pilotaggio, e volare sull’orizzonte. Non riesco a riconoscere il Mig, a questa velocità, ma ci pensano i sensori a mostrarmelo. Questione di secondi e noto il fumo nero che si alza.
Sullo schermo davanti a me compare l’immagine del caccia nemico: è colpito, si sta avvitando su se stesso. Non ha via di scampo, precipita. Tony Stutts, l’istruttore che mi ha seguito, mi dà una pacca sulla spalla: «Bravo, hai abbattuto il Mig. Ti sei guadagnato il diritto di fare un giro d’onore». Spingo la leva di pilotaggio verso sinistra e il mio F-35 fa un giro della morte su se stesso. Tanto ormai la colazione è già andata.
Questa battaglia avviene nel centro di Manhattan, dentro un simulatore di volo che la Lockheed Martin ha portato fino qui, per cambiare la percezione del caccia più costoso della storia e rilanciare la sua produzione. Stutts, che ci guida in volo, è un ex pilota di F 16 che ha combattuto nelle campagne di Bosnia e nella guerra per liberare il Kosovo. «La tua missione – spiega – è raggiungere la base di Nellis, vicino Las Vegas, e distruggere un grande hangar che nasconde dei bombardieri nemici».
Non so bene cosa abbia fatto di male la «Città del Peccato» per meritarsi una punizione così severa, ma ormai è tardi per porsi queste domande. Sono sulla pista di decollo, e quindici secondi dopo volo sopra Las Vegas. Condotto da mani più esperte, questo F 35 sarebbe in grado di decollare percorrendo appena 500 piedi, questione di qualche centinaia di metri.
Io mi accontento dei miei quindici secondi, e dello spettacolo sotto di me. I sei sensori esterni del caccia mostrano il panorama meglio di un film tridimensionale, e con l’elmetto di ultima generazione ho una visione a 360 gradi senza neanche spostare gli occhi. Lo schermo davanti a me funziona come un iPad: basta toccarlo e obbedisce ai miei comandi.
Una virata a destra mi mette in linea con l’obiettivo, l’hangar che devo colpire appare davanti ai miei occhi, come fosse un videogioco. Si fa tutto con due leve e due pulsanti: quelli di destra servono per pilotare e sparare; quelli di sinistra per puntare. Una volta definito il bersaglio, il computer mi guida da solo sulla traiettoria migliore per centrarlo. Mi avverte quando sono in posizione e mi dice che è arrivato il momento di sganciare la mia bomba. Scarico un ordigno da cento chili di esplosivo, che esce direttamente dal comparto per le armi sotto al mio sedere. È una bomba guidata dal sistema satellitare Gps, non può sbagliare. Pochi secondi dopo, sullo schermo vedo l’hangar che prende fuoco.
Proprio in quel momento, però, i sensori di bordo mi avvertono che un Mig 29 mi sta puntando. Questi strumenti vedono tutto, e sullo schermo compaiono non solo gli aerei più distanti che possono minacciarti, ma anche i nascondigli e il raggio di azione dei missili della contraerea. Così so in anticipo dove sono le minacce, posso evitarle e neutralizzarle. Come il povero Mig, che precipita in fiamme.
Sembra un videogame, ma Stutts spiega perché nella realtà abbiamo bisogno di queste macchine: «Durante una missione sulla Serbia mi spararono. Facevo la scorta agli F 117, che andavano a bombardare un obiettivo vicino Belgrado: loro era invisibili, io no. Perciò la contraerea mi prese di mira. Me la cavai, ma oggi non sopravviverei più: il nemico è diventato molto più efficace. Senza questi caccia invisibili saremo incapaci di difenderci, nel nuovo secolo».