Alessandro Barbera, La Stampa 31/10/2013, 31 ottobre 2013
SPESA, PRIMI TAGLI IN APRILE L’OBIETTIVO DI COTTARELLI È RISPARMIARE DIECI MILIARDI
Il prologo non è rassicurante. O forse gli sarà istruttivo. Fatto è che approdare alla poltrona di commissario alla spending review con un pasticcio sullo stipendio non è gradevole. In sintesi: a settembre, dopo lunga riflessione Carlo Cottarelli accetta la proposta del governo italiano di lasciare l’ottimo posto al Fondo monetario internazionale a Washington. Venticinque anni all’estero e la voglia di fare qualcosa per il proprio Paese è una molla formidabile. Rinuncia al posto di Direttore di divisione e a 330mila dollari netti annui, salvo che per un 7% di contributi previdenziali. Il Tesoro gli offre il massimo che la legge oggi consente per un dirigente pubblico, circa 300mila euro. Ma solo in un secondo momento Cottarelli scoprirà che quella cifra corrisponde a 260mila netti. Né la burocrazia fa bene i calcoli su inizio e fine del mandato triennale. Insomma, la norma del decreto del fare che stanzia le risorse per la sua assunzione deve essere modificata. L’ultima versione del comma 14 del «salva-Roma» approvato martedì sera dal consiglio dei ministri ha cambiato la progressione e alzato il monte complessivo di qui al 2016 da 950 a 980mila euro. Dal pasticcio emergono comunque due rilevanti novità di stile: la prima vuole che sia lo stesso Cottarelli, nella massima trasparenza, a dare la sua versione dei fatti nel primo briefing con la stampa. Inoltre aveva già deciso di rinunciare all’auto blu.
Il viaggio che attende Cottarelli nei meandri della spesa pubblica sarà lungo e pieno di trappole. Entro il 13 novembre deve presentare il piano di lavoro. Tutto dovrà essere a costo zero, perché l’unica voce di spesa della nuova spending è la sua assunzione. Lo staff di prima linea (una decina di persone) sarà di funzionari scelti della pubblica amministrazione, il resto lo faranno a titolo gratuito esperti e professori universitari. Cottarelli formerà gruppi di lavoro «verticali» (per tipo di settore da mettere sotto osservazione, ad esempio la Difesa) e orizzontali, ad esempio sui famigerati «consumi intermedi». Ma per organizzare una seria revisione della spesa non bastano cinque giorni - quelli passati finora al Tesoro - e nemmeno cinque settimane. L’orizzonte possibile sono cinque mesi. Per i primi di aprile l’ex dirigente del Fondo conta di presentare al governo un piano concreto di interventi.
La legge di Stabilità fissa obiettivi di risparmio precisi: 3,7 miliardi nel 2015, 7 nel 2016, 10 nel 2017, pena il taglio della voce «agevolazioni fiscali» concesse ai cittadini. Cottarelli vorrebbe andare persino oltre, in quel caso ci sarebbero le risorse persino per finanziare un taglio delle tasse. Dieci miliardi era l’obiettivo fissato per il predecessore Enrico Bondi, con la differenza che il contratto triennale mette Cottarelli al riparo dallo spoil system. «Se non si può si fa senza», dicono nella sua Cremona. Poiché gli obiettivi sono legge, il Commissario spera di convincere la politica a seguire la sua ricetta. Già, perché comunque il suo ruolo è di proposta, e la politica avrà l’ultima parola.
I poteri di Cottarelli sono più ampi di quelli concessi a Bondi, e non lasciano fuori nessuna voce di spesa ad eccezione delle società pubbliche quotate. In teoria potrebbe finire sotto osservazione qualunque settore - persino le pensioni - ma poiché lì si è già fatto molto, il nuovo piano partirà dalla spesa aggredibile, i cento miliardi calcolati dall’ex ministro Piero Giarda. Sprechi, sovrapposizioni, costi della macchina pubblica (Giarda aveva acceso un faro sui costi della sicurezza in alcune Regioni), enti locali, uso efficiente degli immobili, i cosiddetti contributi alle imprese. Al netto della spesa per interessi quella italiana non è molto più alta della media europea. Ma - appunto - al netto di quel fardello, che è poi il nostro mostruoso debito pubblico. Rispetto alla Germania sono ottanta miliardi, cinque punti di Pil, la differenza fra un Paese capace di ripartire dalla lunga crisi e la palude italiana. Se non si può, si farà senza.
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