Vittorio Sabadin, La Stampa 31/10/2013, 31 ottobre 2013
VENTIMILA AL MUSEO DELLA STAMPA
Nei giornali l’attività quotidiana è così frenetica, e ogni giorno è così diverso dagli altri che non ci si preoccupa quasi mai di conservarne la memoria. Le pagine riempite di articoli e foto sono di nuovo vuote il mattino dopo, e la complessa macchina che deve raccogliere e selezionare notizie per spiegarle al lettore non si arresta mai: pretende sempre tutte le energie e tutte le attenzioni.
Nella nuova sede del «New York Times», la memoria è limitata così alla vecchia scrivania dei primi direttori.
Alle foto dei personaggi famosi che hanno visitato il quotidiano e alla parete con i premi Pulitzer vinti dai suoi giornalisti. Altri giornali, come la Vanguardia di Barcellona, hanno conservato la boiserie della prima sede e i ritratti a olio dei fondatori. Altri ancora, come The Guardian a Londra, si sono trasferiti nei nuovi uffici guardando solo al futuro e non al passato.
Quando ha cambiato sede un anno fa, La Stampa è stato il primo giornale al mondo (e finora l’unico) a dedicare un importante spazio a un proprio museo. Sembra una cosa da niente, ma le riunioni per decidere come farlo sono state complesse e laboriose come quelle per disegnare la nuova redazione a centri concentrici. Il problema non era solo quello di stabilire quali oggetti metterci e come esporli, ma soprattutto di che cosa comunicare a chi lo avrebbe visitato.
Il museo non doveva essere un luogo inutilmente auto-celebrativo, né eccessivamente didascalico. Doveva invece emozionare, dare l’idea che il giornale che oggi si legge anche sugli smartphone, sui tablet e sui computer, viene da molto lontano e ha una grande storia da raccontare. Dal 1867 vi hanno lavorato migliaia di uomini e donne, che ne hanno prima creato e poi conservato l’identità e la credibilità.
Da un secolo e mezzo i suoi lettori vanno all’edicola ad acquistarlo, e il legame che si è creato fra la testata La Stampa e il suo territorio è uno dei più forti mai registrati nella storia dell’editoria.
Nell’era di Internet, un’epoca in cui sembra che chiunque possa aprire un sito web per diffondere notizie, avere un passato è molto importante. È il proprio passato che fa la differenza: non si sopravvive in edicola per così tanto tempo se non si è dimostrato ogni giorno di essere rigorosi e attendibili. Il museo racconta proprio questo: le prime pagine storiche, quelle che parlano di Garibaldi o di Giuseppe Verdi, della disfatta di Caporetto o del primo uomo sulla Luna, testimoniano che i giornalisti de La Stampa erano sempre sul posto.
Trasmettevano prima con la posta, poi con il telegrafo, poi dettando al telefono il pezzo agli stenografi e oggi comunicano con le e-mail. C’erano, allora come oggi, grandi inviati, scrittori e collaboratori illustri, dei quali si sono conservate le lettere e i telegrammi. C’era il giornale fatto di piombo, impaginato ogni notte da impagabili tipografi. E c’è oggi il giornale dell’era digitale, che guarda al futuro, ma è figlio del suo passato. Il successo del museo tra i lettori forse è dovuto proprio a questo: non si guardano solo oggetti e memorie, ma si percepisce un’anima tenace, che ha resistito nel tempo.