Giuseppe Fumagalli, Oggi 30/10/2013, 30 ottobre 2013
DA 30 ANNI SONO IO L’ITALIANO VERO
Mosca, ottobre
Nel 2013 Toto Cutugno ha festeggiato cent’anni. Divisi in due. Ha soffiato su 70 candeline per il suo compleanno. E ne ha spente altre 30 per L’Italiano. È la canzone che nel 1983 gli ha dato fama mondiale. E come una vena inesauribile continua a dargliene anche oggi. A Mosca, nel concerto che ha riportato insieme Al Bano e Romina Power, Cutugno è stato uno degli ospiti d’onore. E quando è toccato a lui non ha avuto scelta. Sono più di 500 le canzoni del suo repertorio. Ma hanno voluto ancora quella. «Lasciatemi cantare, con la chitarra in mano...». Lo lascerebbero cantare all’infinito. Sono bastati un paio di accordi e il teatro è venuto giù. Applausi, urla, con per tutta la canzone. Alla fine decine di donne, ma anche un uomo, si sono presentaci sotto il palco. Gli hanno dato baci, abbracci e mazzi di fiori. Forse solo Romina ne ha avuti più di lui.
Come può un pezzo di musica leggera diventare un classico?
«Come cantante cerchi sempre di dare il massimo. Poi è il pubblico che decide».
Un italiano vero è anche un italiano fiero?
«Sì, certo. Perché, nonostante tutto, ci sappiamo fare. Parliamo di moda, di cinema, anche di canzoni. Siamo bravi. Abbiamo gusto. Sappiamo emozionare».
E l’Italia? Meglio oggi o trent’anni fa?
«Dipende. Tutto è cambiato. Qualcosa in meglio. Molto in peggio».
Prima il bicchiere mezzo pieno.
«A essere cambiata in meglio è Stata sicuramente Maria».
Quella «con gli occhi pieni di malinconia»?
«Sì, lei. Trent’anni fa ero rimasto nel vago ma oggi lo posso dire. Sono di origine siciliana e nel volto delle donne meridionali ho sempre visto un velo di malinconia. Quando cantavo “buongiorno Italia buongiorno Maria” mi riferivo a loro. Mi riferivo a una donna costretta in casa, sottomessa a un padre padrone che decideva tutto e lei, poverina, obbligata a pensare a tutto, alle faccende domestiche, alla famiglia, ai figli».
Cos’è cambiato in questi anni?
«La donna, anche nel Sud, si è finalmente emancipata, ha i diritti che merita. C’è riuscita. Però ce n’è voluta».
E il resto?
«Il resto mi piace meno. Vedo i valori che vanno a farsi benedire. E mi preoccupo».
Si riferisce alla politica?
«No, io guardo alla gente, al mio mondo, che è quello delle relazioni, delle passioni, dei sentimenti. Osservo il comportamento dei ragazzi e non vedo più un gesto gentile, una parola romantica, un pensiero, una rosa. Perché è diventato così difficile offrire un fiore a una ragazza?».
È così importante una rosa?
«Sì, perché la rosa esprime una disposizione d’animo, un modo di vivere i sentimenti e di rappresentarli attraverso il proprio comportamento. E se questo viene meno cambia anche tutto il resto. Oggi i ragazzi vivono in modo diverso. Si sposano e alla prima difficoltà si lasciano. Non c’è più la costanza, la pazienza di accettare una discussione o una difficoltà. L’unica cosa che sanno dire è: “Me ne vado”».
L’italiano vero non se ne va?
«Per noi la famiglia è importante, un italiano vero non può metterla in gioco tutte le volte, come se fosse l’ultima delle sue preoccupazioni. Invece, tra divorzi e separazioni qui va sempre peggio».
Dopo trent’anni non ha mai pensato a un remake di L’italiano?
«Gli italiani sono cambiati e oggi aggiungerei un paio di strofe. La prima dedicata agli immigrati: “Buongiorno Italia di Italiani vari, che noi chiamiamo extracomunitari/che hanno la pelle di un altro colore/ma per bandiera hanno il tricolore”. La seconda “Buongiorno Italia e il mutuo da pagare/e il dubbio amletico di chi votare/coi talent show illudi figli/e una tv foriera di sbadigli”. Direi che ci possono stare».
Per altri trent’anni di successo. Dici: «Italiano vero» e pensi a Cutugno. Quanto pesa l’immagine del cantante nel successo della canzone?
«Difficile dirlo. Forse ha funzionato questa mia immagine di romanticone e tenebroso. In realtà sono solo un timidone. Sembro sempre arrabbiato ma è solo riservatezza. La televisione in questo senso è stata una medicina incredibile. Mi ha reso consapevole del bene che mi vuole la gente, mi ha dato fiducia e sicurezza».
Ha sconfitto la timidezza?
«Non del tutto. Solo Sanremo mi frega. Ho fatto 15 Festival, ma ogni volta appena entro sono in apnea per 30, 40 secondi. Poi apro gli occhi, vedo il pubblico e vado avanti. E mai una volta sono riuscito a cantare col testo giusto. Mi sono sempre dimenticato qualche parola che inventavo al momento».
In Russia e nei Paesi dell’Est ogni tournée è un trionfo. Come se lo spiega?
«È impressionante, mi scrivono donne che studiano l’italiano sulle mie canzoni. Mi chiamano maestro quando maestro non sono. Sono un autodidatta, un selvaggio della musica. In Italia mi danno del ruffiano, quello che fa canzoni popolari giocando sui sentimenti. Anche questo non è giusto. Mi piacerebbe essere riconosciuto per quello che sono. Né un maestro né ruffiano. Solo uno che fa il suo lavoro con grande passione».