Roberto Giardina, ItaliaOggi 30/10/2013, 30 ottobre 2013
PIÙ MUSEI CHE GIORNI DI PIOGGIA
La Germania è il paese dei musei. Lo slogan dell’ente del turismo di Berlino è: ci sono più musei che giorni di pioggia. La pubblicità non mente: anche perché d’inverno fa tanto freddo che non nevica neanche, e ogni anno si aprono nuovi musei. C’è da tempo quello del sesso, aperto da Beate Uhse, e il museo del Curry Wurst, la salsiccia che sarebbe stata inventata nel mio quartiere di Charlottenburg, simbolo dell’amore per i würstel dei tedeschi e della salsa americana importata dagli occupanti o liberatori americani.
E c’è a Sierksdorf, nel nordico Schleswig-Holstein, il Deutsches Bananenmuseum. Oltre 10 mila pezzi esposti, compreso il celebre quadro di Andy Warhol, Josephine Baker con il gonnellino di banane e una preziosa incisione di Mara Sibylla Merin del diciottesimo secolo. Perché la banana è il frutto dei tedeschi? Per anni dopo la guerra i bambini, e i loro genitori, hanno desiderato gustare una banana, un lusso che potevano esaudire di rado. Dovrebbe essere avvenuto anche da noi, ma da bambino siciliano non ricordo di aver mai provato una passione smodata per le banane. Sull’isola ci sono sempre stati frutti in abbondanza molto più gustosi.
Da noi quelle piccole e profumate che arrivavano dalla Somalia persero alla lunga la battaglia con le insapori e più belle Chiquita, protagoniste negative in Cento anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. I tedeschi continuano ad amarla, non importa da dove arrivi. Quando cadde il Muro, ai tedeschi dell’est chiesero che cosa volessero comprare con i loro primi Deutsche Mark: hamburger e banane, risposero. Una settimana dopo, ai punti di passaggio tra est e ovest, venivano accolti da ironici lanci di banane. L’amore fraterno era già in crisi. Nella Ddr arrivavano ananas dalle repubbliche amiche, e perfino dei kiwi, ma banane solo a Natale in quantità modeste.
Nella prima campagna elettorale democratica nella Germania Est, nei primi mesi del 1990, seguii Willy Brandt a un comizio sotto la pioggia a Francoforte sull’Oder, che era ed è uno dei posti più tristi d’Europa. «Prendete le banane da chi ve le offre», disse il Premio Nobel per la pace, «poi votate per chi vi pare». Willy e il suo Spd persero. Perché? Chiesero, dopo il primo voto nell’ancora sopravvissuta Ddr, a Otto Schily. E l’ex avvocato dei terroristi e poi ministro degli interni con Schröder, rispose tirando una banana fuori dalla tasca. Si era preparato in anticipo.
I tedeschi mangiano oggi un milione di tonnellate di banane, il 7% della produzione mondiale. Sono in testa per consumo in Europa, con 27 chili a testa all’anno. Perché? Chiede lo Spiegel a Bernhard Stellmacher, direttore del Bananenmuseum. «Anche durante il Terzo Reich erano importanti», risponde, «e Hitler si preoccupava che arrivassero dal Camerun, la nostra ex colonia. Dopo se ne preoccupò anche Konrad Adenauer, che fece aggiungere una nota al Trattato di Roma, in cui si consentiva alla Germania di importare banane americane senza pagare dazio». Secondo Stellmacher, non è una mela che Eva offrì ad Adamo, ma una banana: «Le mele sono noiose, e nella Bibbia si parla di frutto proibito senza specificare».
Periodicamente, dopo qualche scandalo, per noi da dilettanti, come una tesi copiata da un ministro, o un presidente della repubblica che si fa offrire tre giorni in un albergo da un amico, leggo sui giornali: «Siamo diventati una Bananenrepublik». Sempre esagerati questi tedeschi.