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 2013  ottobre 30 Mercoledì calendario

TITO GOBBI. LA VITA, LE OPERE, IL MITO


Solo i più distratti o disavveduti potranno meravigliarsene. La ricorrenza del centenario della nascita di Tito Gobbi, principe dei baritoni, è festeggiata in questa fine d’ anno davvero in tutto il mondo con manifestazioni, omaggi e celebrazioni da una parte all’altra dell’Oceano. Il fuoco alle micce lo aveva dato una settimana fa alla presenza di Renata Scotto l’Accademia di S. Cecilia, ma in questo mese la Belcanto Society e la Lyric Opera di Chicago gli hanno dedicato rispettivamente un concerto ed un Otello ad inaugurazione di stagione, ieri il Metropolitan di New York gli ha dedicato una Tosca, dopo aver radiotrasmesso uno storico Otello del 1967 con Gobbi e la Caballé sotto la direzione di Mehta. Siti celebrativi sono stati poi varati dalla Gotlieb Archival Centre dell’Università di Boston e dalla Royal Opera House di Londra. Ma l’Italia non sarà da meno e farà doverosamente la sua parte con l’Opera di Roma, il Regio di Parma, La Fenice di Venezia, la Scala di Milano che gli ha dedicato l’Aida ora in scena e persino l’Accademia dei Lincei con iniziative che si affiancheranno a quelle della nativa Bassano del Grappa e della Associazione Gobbi diretta con amorevole determinazione dalla figlia Cecilia. Molte anche le pubblicazioni (dvd, libri, cd), le trasmissioni radiofoniche dalla Francia all’Irlanda, gli articoli in riviste specializzate dagli States al Regno Unito.
Ma come mai tanti festeggiamenti per un cantante, per di più baritono, dunque non appartenente alla stirpe canora dei Gigli, Caruso o Pavarotti?
La risposta è facile e chiunque può trovarla nelle testimonianze visive lasciate dal grande baritono, strepitoso interprete di opere verdiane e pucciniane, ma dal repertorio vasto e variegato (il 5 novembre del 1942 interpretò ad esempio la prima italiana del Wozzeck di Berg all’Opera di Roma, poi ripreso a Napoli da Böhm, ma anche opere tedesche come il Götterdämmerung di Wagner o il Salome di Strauss). Gobbi infatti non fu solo un cantante, ma soprattutto un cantante attore. Nel centinaio di ruoli interpretati nell’ arco di una carriera circa cinquantennale (900 recite di Tosca, 400 di Rigoletto e 400 di Otello) basterebbero ad imporlo all’ attenzione quelli, per altro assai diversi tra loro, del subdolo e viscido barone Scarpia della Tosca (ne sopravvive uno spezzone davvero eccezionale del secondo atto accanto alla fragile ma carismatica Maria Callas), lo strepitoso Rigoletto che con il suo doloroso La-rà La-rà cerca la figlia Gilda sottrattagli con l’inganno e portata nella alcova del Duca di Mantova, lo spregevole Jago infingardo e beffardo, cinico e metafisico nichilista dell’Otello verdiano e l’irresistibile, trascinante, esilarante Gianni Schicchi pucciniano.
Per Gobbi difatti la dizione, la verità scenica, l’interpretazione attorale per rendere credibili i personaggi interpretati erano fondamentali. Sulla sua scia si sono mossi nel ruolo eredi come Bruson o Leo Nucci, ma la unicità di Gobbi era nella sua forza interpretativa, nella sua adesione totale al personaggio, alla sua psicologia ed alla situazione drammatica, al perfetto trucco scenico.
Gobbi era nato a Bassano del Grappa il 24 ottobre del 1913 ed aveva iniziato la carriera dopo la vittoria al concorso di Vienna del 1936. Roma (Teatro Adriano e poi Caracalla) aveva segnato il suo debutto a soli 25 anni in Traviata e nell’araldo del Lohengrin. Da allora apparve ripetutamente all’Opera di Roma e alla Scala, dove debuttò nel ruolo del Belcore donizettiano. Dopo la guerra era ormai presente in tutto il mondo da San Francisco a Salisburgo (Don Giovanni sotto la direzione di Furtwängler), da Lisbona al Covent Garden di Londra, da Chicago al Met di New York (dove debuttò nel 1956 in una Tosca diretta da Mitropoulos).
Essendo il ruolo di baritono centrale in tutta l’opera verdiana, Gobbi fu un ideale ed esemplare interprete verdiano (anche Ballo in maschera, Traviata, Don Carlo e Falstaff). A ricordarlo esistono per fortuna molte registrazioni tra cui, di opere complete, Falstaff, Simon Boccanegra e Tosca. La sua carriera e la sua estetica dell’interprete lo portarono quasi inavvertitamente ad affrontare con successo anche la regia lirica (a partire da un Boccanegra del 1965), disegnando talora anche le scenografie, ed all’insegnamento, attività in cui cercò di trasmettere ai giovani cantanti la sua arte . «Io credo che sia mio dovere – diceva – trasferire alle giovani generazioni quello che io ho avuto la fortuna di apprendere in più di quarant’anni di carriera. Il patrimonio di esperienza che ho accumulato non deve sparire con me». Del titanico Gobbi, scomparso nel 1984, resta l’esempio alle giovani generazioni di interpreti: una pagina gloriosa del nostro teatro lirico.
Lorenzo Tozzi