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 2013  ottobre 30 Mercoledì calendario

QUELLA FESTA FINTAMENTE HORROR CHE CI HANNO SCIPPATO GLI AMERICANI


Prima di diventare una festa cittadina, preda di locali à la page, Halloween è stata una festa campagnola e spartana, pagana in senso letterale, cioè legata al pagus, alla terra.
Prima di americanizzarsi e infiltrarsi di contaminazioni glocal, Halloween è stata una celebrazione legata alla nostra tradizione contadina, ai riti di passaggio delle stagioni e al ciclo dei raccolti: una festa tutta italiana. Al netto della sua trasformazione cattolica e della sua versione consumistica, dunque, Halloween è stata un simbolo del concetto stesso di «tempo», che è la separazione. La festa che poi sarebbe diventata Ognissanti, infatti, testimoniava la divisione tra le due stagioni, l’estate e l’inverno, tra la notte e il giorno, la distanza tra i vivi e i morti e anche la lontananza tra chi è alla fine della vita e chi è ne è all’inizio, come dimostra la contaminazione tra vecchie streghe e i bambini che più ne sono spaventati. Proprio sul tentativo di far conoscere ai più giovani questa tradizione e di ricollocarla nella nostra Penisola verte il nuovo numero del fumetto Dampyr,intitolato Halloween (Sergio Bonelli Editore). La storia, sceneggiata da Mauro Boselli, ambienta la festa di Ognissanti all’interno di un paesino dell’Appennino abruzzese, dove i geni loci, gli spiriti del luogo, sconfiggono i Krong,creature demoniache venute fuori da un romanzo horror americano. «È una chiara allusione», ci dice Boselli, «al conflitto tra l’identità nostrana e l’acquisizione supina della tradizione Usa». Non spiace, nel libro di Boselli, l’utilizzo del fumetto per raccontare la genealogia del rito di Ognissanti. Le prime pubblicazioni in Italia che facevano riferimento ad Halloween furono infatti proprio dei fumetti: nel 1952 la storia Donald Duck in trick or treat (Paperino e le forze occulte), inscenata nel bel mezzo di un rito celtico, e negli anni Sessanta una striscia dei Peanuts in cui Lucy, travestita da fantasma, chiedeva a Charlie Brown: «Non sarà proibito andare così in giro per Halloween?». Spiace ancora meno, nel fumetti di Boselli, il riferimento ai paesi abruzzesi della Valpurga.
«Proprio qui», continua lo sceneggiatore, «si tenevano, il 31 ottobre, le scurnacchiere, processioni alle quali prendevano parte i vivi e i morti, cioè i devoti e i defunti». Il caso dell’Abruzzo è confermato anche dai riti del cosiddetto «carnevale sardo», durante il quale le accabadoras (letteralmente, le terminatrici) praticavano l’eutanasia contadina, togliendo la vita ai moribondi con un colpo di martello . L’aspetto macabro della festa di Ognissanti si conciliava in Italia con altri riti, come le questue, le divinazioni e le strenne. A Santa Caterina di Villarmosa, in provincia di Caltanissetta, bambini coperti di lenzuola bianche questuavano dolci presentandosi come «i morti», mentre in Puglia il giorno del 1° novembre coincideva con l’arrivo della «calza dei morti», piena di doni offerti ai bambini in cambio di cibo lasciato ai defunti. Nel Nord Italia, invece, ricordano Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi, autori del bel saggio Halloween. Nei giorni che i morti ritornano (Einaudi, pp 354, euro 14), le tradizioni del giorno dei morti erano più legate alla memoria di celebrazioni celtiche. In Piemonte c’era l’usanza di esporre zucche svuotate con all’interno candele accese, evidente richiamo alla maschera americana di Jack O’ Lantern; a Finale Emilia c’era l’abitudine di offrire ai richiedenti la limòsna di mòrt (l’elemosina dei morti), per scongiurare possibili ritorsioni piùo meno scherzose. Questa vendetta in Valle d’Aosta aveva un nome: si chiamava tzàrivari, e comportava lo sdegno dei defunti, che non avevano avuto un’accoglienza benevola nelle case dei vivi.
Emerge, attraverso questi esempi, la strutturale ambivalenza di Halloween nella nostra tradizione, capace di rappresentare il Sacro nella sua doppia faccia: quella protettiva e quella tremenda, quella conciliante del «dolce» offerto e quella inquietante dell’ospite inatteso. Halloween ha così, nel nostro immaginario, il duplice significato che aveva la parola heimlich secondo Freud: indicava il «domestico», il «familiare», ma anche il «nascosto» e l’«inquietante ». Una delle figure benevole, legata alla tradizione contadina di questo periodo, era la maschera del Biscegliese, meglio noto come don Pancrazio Cucuzziello, di cui scrissero autori come Maurice Sand e Paul De Musset come dismostrano gli studi di Antonio Cortese e Tomamso Fontana. Questo personaggio indicava un legame alla terra che non era più macabro, ma al contrario fonte di vita e di un’arte di campare scherzosa. La fine delle stagioni era così allietata dall’ironia che, lungi dal rendere la morte minacciosa, rendeva la vita un’improvvisazione buffonesca.