Massimo Gaggi, Corriere della Sera 30/10/2013, 30 ottobre 2013
IL GIALLO DELLE DUE ISOLE GALLEGGIANTI CENTRI DATI O NEGOZI DI GOOGLE?
Gli ingredienti per una storia enigmatica e avvincente sono molti: un’isola galleggiante — un’enorme zattera d’acciaio sulla quale sorge un castello fatto di vari piani di container — spuntata all’improvviso nel bel mezzo della baia di San Francisco. Una struttura analoga che si materializza in modo altrettanto misterioso dall’altra parte degli Stati Uniti, sull’Atlantico: vicino a Portland, lungo la costa del Maine.
Nessuno sa nulla di preciso su queste due isole galleggianti che non hanno nomi né numeri, ma numerosi indizi portano a Google: si parla di «data center» da tenere, in caso di necessità, fuori dalle acque territoriali Usa, di «server» mobili da trasferire in altri continenti, di strutture di «back up». Centri di elaborazione di riserva da attivare in caso di catastrofi naturali o di guerre. Ma queste strutture potrebbero anche essere un nuovo tipo di negozio galleggiante — e quindi mobile — che l’azienda di Mountain View si preparerebbe a opporre agli Apple Store del suo rivale di Cupertino. Un modo innovativo di vendere un prodotto già di per sé rivoluzionario: i Google Glass, i suoi occhiali elettronici.
L’azienda di Larry Page e Sergey Brin risponde per ora con un «no comment» alla grandinata di domande dei cronisti californiani che stanno seguendo l’appassionante vicenda. E allora non resta che raccontarla, questa strana storia cominciata qualche giorno fa quando l’«oggetto misterioso» è improvvisamente comparso davanti all’isola artificiale che la Marina Usa ha dato in affitto al comune di San Francisco. Un’isola che la Navy non poteva che battezzare «Treasure Island», l’isola del tesoro.
La grande piattaforma d’acciaio, lunga quasi 80 metri e larga più di 20 si è materializzata davanti a un grande capannone, l’hangar numero 3, nel quale sono state presumibilmente costruite le strutture montate sulla zattera. Strutture che, secondo molti tecnici, fanno pensare a un «data center» galleggiante, un progetto coltivato da anni da Google che nel 2009 l’ha anche brevettato.
I cronisti californiani da giorni al lavoro, a cominciare da quelli del sito Cnet , hanno rintracciato alcuni ingegneri, in passato dipendenti di Google, che hanno confermato: c’era un progetto di questo tipo, l’azienda voleva usare navi in disarmo, ma si rese conto che riconvertirle era più costoso che costruire strutture nuove. Quelle disegnate allora sono molto simili all’isola in costruzione nella baia.
Le autorità di San Francisco sostengono che l’Hangar 3 è stato affittato a una società che si chiama «By and Large», non da Google. Ma questa società è pressoché sconosciuta. E i due personaggi che dovrebbero esserne i capi sono in qualche modo riconducibili a Google. Di più: i lavoratori dell’hangar, quando vanno a mangiare in bar e ristoranti della zona, pagano con carte di credito di Google.
Ce n’è abbastanza per dare il via a una girandola di supposizioni sempre più avventurose: centri di elaborazione dati di riserva, da dislocare in giro per il mondo e attivare i caso di catastrofi naturali o guerre? O strutture che dovrebbero consentire a Google di garantirsi in qualunque circostanza la extraterritorialità della gestione di almeno una parte della gigantesca mole di dati che transitano per i suoi server?
La fantasia si scatena, favorita anche dalla tendenza di Google a imbarcarsi in avventure affascinanti: dall’auto che si guida da sola al progetto di una rete wireless planetaria basata su una rete di palloni aerostatici e di dirigibili, ora in via di sperimentazione in Nuova Zelanda.
Ma ecco che la Kpix , una rete televisiva locale affiliata alla Cbs , tira fuori un’ipotesi completamente diversa: l’isola galleggiante potrebbe essere un nuovo tipo di negozio mobile. Google ha bisogno di una rete per vendere i suoi nuovi occhiali elettronici. Non volendo ricalcare il modello degli Apple Store, potrebbe tentare la via dei punti vendita galleggianti da ancorare nelle città affacciate sul mare o attraversate da un fiume.
Fonti vicine a Google sembrano accreditare questa ipotesi. Anche a Cnet ammettono di averne sentito parlare. Ma diffidano: gli ingegneri dicono che quel castello di container è poco adatto ad essere usato come megastore. Potrebbe essere un depistaggio. E intanto altri ex dipendenti dell’azienda della Silicon Valley raccontano che la società aveva progettato una rete di 12 «data center» di riserva da dislocare in giro per il mondo: quattro negli Usa, gli altri otto in Asia, Europa e Sud America. Il mistero continua.
Massimo Gaggi