F. B., Corriere della Sera 30/10/2013, 30 ottobre 2013
«UNA MACCHINA DA GUERRA» IL PUGILE PICCHIAVA PER IL CLAN
Per recuperare i crediti vantati dai giocatori che cadevano nella rete dei videopoker, una organizzazione criminale casalese che aveva impiantato una serie di locali con slot machine ad Acilia in provincia di Roma, utilizzava alcuni ex pugili albanesi. Professionisti del pestaggio che, guidati da un italiano, intimidivano, minacciavano e, se necessario, picchiavano i debitori fino a «convincerli» a trovare ad ogni costo il denaro da restituire.
Questo scenario emerge da una indagine condotta dalla Guardia di Finanza su delega dei sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Antonello Ardituro e Alessandro Milita, che ieri ha portato all’emissione di due ordinanze di custodia cautelare e al sequestro di numerosi beni riconducibili all’organizzazione, che vedeva i casalesi alleati con esponenti della criminalità romana.
Gli albanesi coinvolti erano tre: Orial Kolaj, trent’anni, Arben Zogu (40) e Petrit Bardhi (39). Il più noto alle cronache pugilistiche, e anche il più violento era Kolaj, di cui due della banda, in una intercettazione ambientare raccolta dagli investigatori, parlano in questi termini: «Orial è una macchina da guerra! Orial davvero gli devi sparare per fermarlo eh».
Pugile professionista fino a poco tempo fa, Kolaj ha al suo attivo otto vittorie e cinque sconfitte, e nel 2012 ha conquistato il titolo di campione d’Italia dei mediomassimi sconfiggendo il napoletano D’Agata.
Fisico ovviamente imponente, molti tatuaggi, Kolaj deve il suo nome alla passione che suo padre Gjelosh aveva per il calcio e per l’Inter in particolare, tanto da scegliere di chiamare il figlio Orial in onore di Oriali, storico mediano nerazzurro e campione del mondo con l’Italia di Bearzot nel 1982.
L’ex pugile arrivò in Italia quando aveva 11 anni, insieme con la madre e il fratello. Finalmente la famiglia si riuniva, perché il padre era arrivato da solo, come molti suoi connazionali, e aveva deciso di farsi raggiungere dalla famiglia quando ritenne di poter badare a loro.
Orial crescendo in Italia ottenne la cittadinanza e cominciò a lavorare come cameriere. L’incontro con la boxe avvenne a Varese, dove la famiglia si trasferì da Roma per stare più vicina al padre che nel frattempo era andato a lavorare in Svizzera. Esordi difficili, quelli nel pugilato. Kolaj almeno all’inizio, non andava tanto per il sottile. Lui, o chi ne curava gli incontri non si faceva problemi ad andare sul ring anche contro avversari di categoria superiore. Quindi da dilettante tante sconfitte e pure — come raccontò lui stesso alla Gazzetta dello Sport — qualche rissa sul quadrato.
Poi la carriera da professionista, il ritorno a Roma e l’avvicinamento all’organizzazione criminale, proprio nel momento in cui l’attività sportiva gli aveva finalmente cominciato a dare qualche soddisfazione e anche qualche guadagno. Ma per lui era evidentemente poco: «A me servirebbero tre vite di cazzotti per guadagnare quanto un calciatore in un mese», diceva. E ha cercato i soldi altrove.
F. B.