Monica Ricci Sargentini, Corriere della Sera 30/10/2013, 30 ottobre 2013
UN TUNNEL TRA I DUE CONTINENTI ERDOGAN CORONA IL SOGNO OTTOMANO
«Questo è il coronamento di un sogno durato 150 anni. Il Marmaray non appartiene ad Istanbul bensì all’umanità intera». Il premier turco Recep Tayyip Erdogan era visibilmente orgoglioso ieri quando ha celebrato, davanti al giapponese Shinzo Abe, l’apertura del tunnel ferroviario sotto il Bosforo che collega, in soli quattro minuti, la parta asiatica di Istanbul con quella europea. Un progetto che era già stato accarezzato dal sultano Abdulmedjid nel lontano 1860. E che in futuro, nei sogni di «papà Tayyip», come lo chiamano affettuosamente i suoi elettori, potrebbe diventare parte di una nuova Via della seta che colleghi l’Occidente alla Cina.
Una volta completata, l’opera, costruita da un consorzio turco-giapponese, sarà lunga 76 chilometri. Per ora, però, è in funzione solo il tratto di 13,6 chilometri che per una piccola parte (1,4 chilometri) corre sott’acqua fino a 62 metri di profondità e collega la stazione europea di Kazliçesme con quella asiatica di Sogutluçesme. A regime la nuova linea, costata 3 miliardi di euro, trasporterà fino a 1,5 milioni di passeggeri al giorno e dovrebbe abbattere drasticamente l’infernale traffico della megalopoli che conta 17 milioni di abitanti. È prevista anche la costruzione, entro il 2015, di una seconda corsia, destinata alle automobili.
Si sa che Erdogan è abituato a pensare in grande e a non lasciare nulla al caso. Le elezioni per decidere il sindaco di Istanbul sono alle porte (marzo 2014) e la posta è altissima perché il risultato condizionerà gli altri appuntamenti elettorali, tra cui le presidenziali e le politiche. Per questo l’inaugurazione del Marmaray è coincisa con la celebrazione dei 90 anni dalla fondazione della Repubblica creata il 29 ottobre 1923 da Mustafa Kemal Atatürk, per dimostrare il legame forte tra il partito islamico moderato Akp e la tradizione secolare del Paese e per far vedere che Erdogan rende la «Turchia sempre più grande», come lui stesso ama ripetere.
Un quadro idilliaco rotto solo dalla voce degli ambientalisti, degli urbanisti e dei giovani di Gezi Park che da mesi denunciano la speculazione immobiliare di faccendieri vicini al potere, la distruzione della natura, la cementificazione del Paese. Istanbul, infatti, è un immenso cantiere. Oltre al Marmaray e al terzo ponte sul Bosforo, che sarà completato nel 2015, è prevista la costruzione di una moschea enorme, la più grande del mondo, che sorgerà a Çamlica, un’area in cui la popolazione ama andare a fare i picnic, e di un canale lungo 50 chilometri che collegherà il Mar Nero al Mar di Marmara, un progetto definito «folle» dallo stesso Erdogan e che dovrebbe essere pronto nel 2023, anno del centenario della Repubblica. «Tutte queste opere — ha spiegato Cemal Gokçe, presidente della Camera degli ingegneri edili della città — rovinano il verde, le sorgenti idriche, i boschi, la fauna. E peggiorano la qualità della vita». Ieri la Camera degli architetti e degli ingegneri di Istanbul, che a giugno è stata una delle protagoniste della rivolta di Gezi Park, ha fatto notare che il tunnel, realizzato in un’area a forte probabilità sismica, non ha un sistema elettronico di sicurezza e che rischia l’allagamento in caso di rottura di una porzione. «Io non ci entrerei e nessuno dovrebbe farlo», ha detto l’ingegnere Süleyman Solmaz che vi ha lavorato. Gelida la replica del ministro dei Trasporti Binali Yildirim che ha definito il Marmaray «il posto più sicuro di Istanbul».
Monica Ricci Sargentini
@msargentini