Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 30/10/2013, 30 ottobre 2013
COSÌ CADE A PEZZI IL GIOIELLO DEL G8
«Ah, quando s’alza il vento…». Il lamento cantato da Lucio Battisti si leva alla Maddalena a ogni folata di maestrale. Altri tetti scoperchiati, altri pannelli di vetro strappati all’avveniristico «Main Center», altri pezzi di coperture inghiottiti dal mare… Cadono a pezzi, solo quattro anni dopo, le costosissime strutture costruite per il G8 poi spostato all’Aquila. E i soldi dati ieri per finire la bonifica, potete scommetterci, non basteranno.
Sono 11 milioni e rotti, i nuovi stanziamenti decisi dal ministero dell’Ambiente e dalla Regione Sardegna per completare il risanamento «dello specchio acqueo antistante l’ex Arsenale militare di La Maddalena». Il guaio è che per i giudici impegnati nell’inchiesta sulla «bonifica fantasma», i quali poche settimane fa hanno inviato gli avvisi di indagini concluse a 17 indagati eccellenti, dall’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso all’ex responsabile della struttura di missione per il G8 Mauro Della Giovanpaola fino all’ex viceré del Consiglio superiore dei lavori pubblici Angelo Balducci, l’area dettata da fanghi neri impregnati di idrocarburi lasciati dai vecchi insediamenti militari non è di sei ettari ma di dodici: il doppio.
Tanto che i pessimisti sono pronti a giurare che saranno insufficienti non solo i quattrini (ne servono almeno 19, di milioni, secondo i periti della magistratura) ma anche i tre anni fissati per finire il disinquinamento. E tutto si può chiedere ai maddalenini meno che abbiano fiducia negli impegni presi. Troppe volte, in questi anni, sono stati traditi.
Alla Maddalena, giurava Silvio Berlusconi nel dicembre di cinque anni fa, «è stata fatta la più grande bonifica ambientale mai fatta in Italia in modo che l’isola diverrà un’attrazione turistica assolutamente all’avanguardia». E il governo assicurava, sfidando la Ue che avrebbe aperto una procedura d’infrazione su tutte le violazioni delle regole, che i lavori per il G8 sarebbero stati fatti «nel massimo rispetto ambientale». E ancora tre giorni prima del terremoto all’Aquila che avrebbe spinto il Cavaliere a mollare l’arcipelago, Bertolaso affermava: «Abbiamo bonificato una zona inquinata in un parco nazionale, abbiamo portato le barche dove c’erano i sommergibili e ora garantiamo l’occupazione a un migliaio di persone». Sì, ciao… Mai vista un’assunzione.
Costò una tombola, quel «lifting ambientale» per cui la Protezione civile ingaggiò anche Francesco Piermarini, il fratello della moglie di Bertolaso che lo definiva «un grande esperto di bonifiche». Trentuno milioni, pare. Ma con tutti gli annessi e connessi sarebbero stati 72. Senza che le acque fossero ripulite almeno il necessario per rimuovere, se non il divieto di balneazione, almeno quello di navigazione e di ancoraggio. Il colmo, scrisse sull’Espresso Fabrizio Gatti: «Un porto turistico costato complessivamente 377 milioni di euro pubblici nel quale yacht, barche e gommoni non possono attraccare».
E lì c’è la seconda grana. La pretesa della Mita Resort di Emma Marcegaglia che lo Stato rispetti l’accordo fatto poche settimane prima dello spostamento del G8. Quando l’allora presidente di Confindustria vinse in gara solitaria (contestatissima da due altri imprenditori turistici) l’appalto per gestire in cambio di 40 milioni, per trent’anni, le strutture costruite o ristrutturate per il summit internazionale. Un complesso che avrebbe dovuto diventare, dopo lo spot mondiale della parata con Obama, Medvedev, Merkel, Sarkozy e tutti gli altri, il cuore della nautica esclusiva dell’intero Mediterraneo.
Dicono quelli della Mita: ma come, dovevate portare i Grandi del pianeta e (con tutto il rispetto per la tragedia aquilana) così non è stato; dovevate risanare le acque e non l’avete fatto; dovevate togliere lo stradone che passa davanti all’ex ospedale militare trasformato in un hotel di lusso per farci la passeggiata a mare e non l’avete tolto; ci avete fatto spendere 9 milioni di euro di arredamenti e non possiamo affittare una camera o un posto barca… Risultato: una richiesta danni di 149 milioni. Che si aggiungerebbero al mezzo miliardo (la cifra esatta, per ora, pare non saperla nessuno) già buttato per quella costosissima giostra mai fatta girare.
«Ma come: se la Marcegaglia non ha ancora tirato fuori un centesimo dei soldi dovuti!», sbotta l’ex assessore provinciale all’ambiente Pierfranco Zanchetta, duro oppositore delle scelte sventurate fin qui commesse, «Non capisco. Già le avevano fatto lo sconto riducendo da 40 a 31 i milioni di canone e allungandole da 30 a 40 gli anni di gestione! Ha speso soldi per arredamenti o altro? Porti le ricevute ed esiga i rimborsi. Ma chiedere 149 milioni di mancato guadagno senza neppure aver tirato fuori quello che deve lei allo Stato…».
Fatto sta che, in attesa che si chiuda la rissa sulla manutenzione («Tocca allo Stato», «No, alla Regione», «No, alla Marcegaglia») le opere che solo quattro anni fa erano nuove di zecca e pronte ad accogliere il vertice planetario, sono in condizioni catastrofiche.
L’area delegati che doveva diventare una struttura culturale e commerciale mostra le ferite dei pezzi di tetto strappati dal vento. Le colonne degli antichi depositi dell’arsenale costosamente restaurate sono già oscenamente arrugginite. L’albergo ricavato dall’ex ospedale con lavori abnormi per 77 milioni di euro (722 mila euro a camera) è assediato dalle erbacce che stanno mangiandosi anche il marciapiede. E ovunque degrado, degrado, degrado.
Quello che più fa salire il sangue al cervello è però l’edificio futuristico del «Main Center» che doveva ospitare le personalità più illustri del mondo e che si protende sull’acqua del bacino. Le spettacolari vetrate sui fianchi erano coperte da una specie di alveare, un grande merletto di vetro e acciaio voluto per dare insieme un po’ d’ombra e insieme trasparenza, stanno giorno dopo giorno sgretolandosi. «Uno schifo», si sfoga l’architetto Stefano Boeri, autore del progetto, «Lo vedo e sto male. Sono pazzi a lasciarlo finire così». Non era stata una pazzia piuttosto mettere quella grata leggera esposta alla furia del maestrale? «Per niente! Non c’è posto dove il maestrale tiri quanto a Marsiglia eppure lì il Mucem, cioè il museo della civilizzazione dell’Europa e del Mediterraneo, coperto con la stessa tecnica, è stupendo e intatto. Alla Maddalena è mancata la minima manutenzione annuale. L’azienda che l’ha costruita, quella copertura, si è offerta di farla, la manutenzione. Non le hanno neanche risposto. Tanto che hanno fatto causa per la figuraccia cui sono, senza colpa, esposti».
Tema: ammesso che ci mettano «solo» altri tre anni per la bonifica vera (totale otto: più di quelli bastati a fare il tunnel sotto la Manica) cosa sarà di tutto quel complesso che fu bellissimo e bellissimo potrebbe tornare a essere ma è abbandonato al vento, alla polvere, agli sterpi?
Beffa tra le beffe, la Regione è costretta pure a pagarci sopra quattrocento mila euro l’anno di Imu…
Gian Antonio Stella