Francesco Manacorda, La Stampa 30/10/2013, 30 ottobre 2013
ACCUSE, INSULTI E SCINTILLE L’INGEGNERE E TRONCHETTI DI NUOVO IN GUERRA
La guerra dei sette anni - il primo incrociar di sciabole risale ormai al luglio del 2006 - finisce, ma è assai dubbio che finire sia la parola più adatta, a colpi di telefono. Colpi non troppo metaforici quelli tra Carlo De Benedetti e Marco Tronchetti Provera, che ieri hanno raggiunto una violenza inusitata nella loro pur non breve né sporadica guerriglia, guarda caso sempre legata all’affare Telecom e dintorni.
È l’instancabile presidente onorario della Cir a sferrare il primo colpo. Solo nelle ultime due settimane De Benedetti ha incitato la platea dei Giovani confindustriali alla rivoluzione «per ribaltare dal profondo questa Italia vecchia», ha invocato la patrimoniale dalle colonne del Sole 24 Ore, ha pure spiegato a Vercelli che «la crisi è lontana dall’essere finita». E ieri di buon mattino dichiara ai microfoni di Radio 24 che se nella vicenda Telecom «i capitani coraggiosi sono Colaninno e Tronchetti, allora preferisco le partecipazioni statali», ricordando anche come la Olivetti sotto il suo dominio fosse «l’aziende più liquida in Italia».
La risposta di Colaninno non perviene, ma quella di Tronchetti, per il quale l’esperienza in Telecom rimane una ferita aperta, non si fa attendere. All’«ingegnere», con la minuscola, chiede «un confronto sui fatti, anche pubblicamente, non sugli insulti». Ma prima trova il tempo per stilare un esaustivo elenco di avventure, e soprattutto di disavventure, di De Benedetti, utilizzando senza risparmio la figura retorica che linguisti chiamano preterizione o paralipsi, con la quale si nega di voler parlare di un argomento riuscendo però così a citarlo esplicitamente. E allora, «se anche io raccontassi la storia delle persone attraverso i luoghi comuni e gli slogan, potrei dire che l’ingegner De Benedetti è stato molto discusso per certi bilanci di Olivetti, per lo scandalo legato alla vendita di apparecchiature alle Poste italiane, che fu allontanato dalla Fiat, coinvolto nella bancarotta del Banco Ambrosiano, che finì dentro le vicende di Tangentopoli. Invece non lo faccio perché sarebbe sbagliato».
Tanta magnanimità non pare convincere fino in fondo l’Ingegnere, che a stretto giro di posta replica con il suo stile assai diretto: «Tronchetti anziché esercitarsi in esercizi di dozzinale retorica, che contiene anche falsità, con le sue sconsiderate decisioni “imprenditoriali” ha distrutto miliardi di valore per gli azionisti Pirelli». E poi, senza preterizioni di sorta, afferma che il suo avversario «è stato costretto a vendere per pochi soldi ai suoi dirigenti la divisione cavi (Prysmian) che oggi capitalizza oltre i due terzi di Pirelli per poi essere salvato miracolosamente dal fallimento per misterioso intervento delle banche che ancora si leccano le ferite e alzano bandiera bianca vendendo Telecom a Telefonica. Se c’è una persona a cui converrebbe essere dimenticato per la sua avidità e incapacità è proprio Tronchetti». Finita qui? Macché. Alle sette di sera, ormai esausti nei rispettivi angoli del ring gli avversari, Tronchetti tira l’ultimo colpo, mirando al passaporto elvetico di De Benedetti: «E’ evidente che non parliamo la stessa lingua, come è normale possa succedere tra un cittadino italiano e un cittadino svizzero. Rimango disponibile a un confronto pubblico, ovviamente in territorio neutrale». E di territori neutrali ci sarà probabilmente un gran bisogno in questa polemica che guarda tutta all’indietro e che per il momento rischia di essere solo un ottimo spot - perdipiù firmato a quattro mani - contro il capitalismo italiano.