Renato Pallavicini, L’Unità 29/10/2013, 29 ottobre 2013
INCONTRO CON IL "PADRE" DI «V»
La prima domanda è d’obbligo: Mr. Lloyd, che cosa prova a essere diventato - per merito della maschera che ha disegnato per «V for Vendetta» - un simbolo dei movimenti antisistema di mezzo mondo? «Bene! Abbiamo proprio bisogno di un simbolo di resistenza all’oppressione che vada bene per tutti gli usi e che non porti con sè il peso politico di un’ideologia prefissata che lo renderebbe esposto agli attacchi delle macchine della propaganda».
David Lloyd (Enfield, 1950), per chi non lo sapesse, è il disegnatore inglese che ha dato il volto, anzi la maschera al protagonista di V for Vendetta, un fumetto seminale per la storia moderna di questo linguaggio, scritto e sceneggiato da Alan Moore. Quel viso che sembra di porcellana, con i baffi e il pizzetto, a metà tra un’irridente maschera di carnevale e un tragico trucco da teatro Kabuki, è diventato la popolare faccia di Anonymus, il simbolo esplicito di movimenti come Occupy e Indignados. E ha riempito le piazze di mezzo mondo.
Viene dalle pagine di quella straordinaria serie di albi - usciti originariamente in bianco e nero, tra il 1982 e il 1985, sulla rivista inglese Warrior; poi diventati comic book a colori dell’americana Dc Comics; poi ancora decine di traduzioni e di edizioni in volumi rilegati (l’ultima italiana, che riproduce la prima apparizione inglese, edita da Rw Lion); e infine un fortunato film diretto da James McTeigue su sceneggiatura dei fratelli Wachowski, quelli di Matrix.
Viene, quella maschera, dalle fattezze di Guy Fawkes, cattolico inglese che tentò di assassinare, facendo esplodere il Parlamento, il re Giacomo I d’Inghilterra. Il complotto, scoperto il 5 novembre del 1605, fu sventato, Fawkes e i congiurati arrestati e, come prevedeva la legge, nell’ordine: impiccati, squartati e decapitati. Il fumetto di Moore e Lloyd sposta l’azione in una distopica e dispotica Inghilterra di un futuro/presente, soggiogata da un regime fascista che domina attraverso il controllo costante del grande fratello tv e segregando qualsiasi dissidenza nei campi di concentramento. Quando fu scritto, si stava affermando l’era di Thatcher e di Reagan.
Che cosa è cambiato - dal punto di vista di David Lloyd - dagli anni Ottanta a oggi in Inghilterra e nel mondo?
«Oggi ci sono più mezzi per comunicare il dissenso ma anche più mezzi per controllarlo».
Che cosa pensa della crescente indignazione delle giovani generazioni contro l’attuale situazione economico-sociale?
«Mi sembra che non sia ancora motivata o messa in atto abbastanza per tentare di cambiare le cose, come è stato per la generazione degli anni Sessanta. Ma non è colpa delle nuove generazioni. È che le autorità hanno imparato come controllare i movimenti destabilizzanti attraverso la manipolazione sociale».
Ci vuole raccontare della sua collaborazione con Alan Moore (autore di opere come «Watchmen», «From the Hel»)? Come sono stati i vostri rapporti, come ha funzionato il lavoro in coppia? Ha collaborato con Moore in altre occasioni o pensa di farlo ancora?
«Abbiamo lavorato bene su V for Vendetta perchè eravamo sulla stessa lunghezza onda. Siamo cresciuti sotto le stesse influenze, per quanto riguarda teatro e letteratura; e ci ammiravamo reciprocamente. Avevamo anche la stessa opinione sulla minaccia rappresentata dall’estrema destra. Avevo già lavorato con Moore su alcune storie brevi pubblicate sulla rivista Dr. Who, ma non lavorerò di nuovo con lui, ne sono sicuro. Ci siamo già spinti oltre, su due strade separate».
Che cosa pensa della versione cinematografica di «V for Vendetta»?
«È un film sensazionale, con ottime interpretazioni. Ma io l’ho sempre reputato come un’altra versione di V for Vendetta. Diffonde il messaggio centrale di V a un’audience di milioni persone. Il che è un’ottima cosa e molto più di quanto avrebbe potuto fare l’originale».
Ci vuole parlare del suo nuovo progetto a fumetti Aces Weekly? (in Italia è tradotto dall’editore Npe, del quale Lloyd sarà ospite nelle giornate di Lucca Comics & Games, ndr)
«È un’antologia di fumetti, esclusivamente digitali: è accessibile via web (www.acesweekly.co.uk) e permette ad alcuni dei più bravi creatori nel mondo di raccontare le loro storie direttamente ai lettori, invece che attraverso gli elaborati processi dell’editoria tradizionale. È il futuro».
Quanto è importante, per lei, il rapporto con i lettori?
«È assolutamente indispensabile. Loro comprano il mio lavoro e lo apprezzano. E se io faccio qualcosa in più per loro, sono contento di ripagare un po’ di quello che loro hanno dato a me. Mi piace inoltre dir loro che possono fare un buon affare con pubblicazioni a fumetti come Aces Weekly e le edizioni Npe (sorride)».
Quali sono gli autori - recenti e passati - che preferisce o che l’hanno ispirata? Conosce gli autori italiani, e quali?
«Mi è impossibile dare una risposta esaustiva. Molti autori americani e inglesi, soprattutto Ronald Embleton e Steve Ditko, nel fumetto. Ray Bradbury in letteratura. Attualmente, tra gli italiani, ammiro il lavoro di Massimo Carnevale».
Ha sempre desiderato fare il disegnatore o ha un altro sogno nel cassetto?
«No, ho sempre voluto essere un illustratore. Mi piaceva raccontare storie, e quindi mi è venuto naturale diventare un fumettista. Avrei potuto essere uno scrittore o un attore se non fossi stato così bravo a disegnare».
Pensa che il fumetto, in qualche misura, possa contribuire - come è successo per la letteratura, la poesia, la musica - a modificare le coscienze e a cambiare il mondo?
«Tutta l’arte può influenzare il modo in cui la gente si comporta o guarda il mondo. E il fumetto può farlo allo stesso modo di ogni altra arte».