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 2013  ottobre 29 Martedì calendario

«MARINA, L’ANTI-RENZI» IL CAV SPIAZZA I MINISTRI


Il Pdl non funziona più. Voglio un partito di facce nuove, giovani, convincenti. Guidato da Marina». Al vertice con i cinque ministri, Silvio Berlusconi lo ha detto con una chiarezza che ha lasciato allibiti gli interlocutori.

Sbigottiti, i cinque si sono guardati negli occhi e non c’è stato bisogno di parole per capirsi: il Cavaliere, comunque vada, vuole liquidarli. Non soltanto loro, per amor di verità: nella Forza Italia 2.0 non ci sarà posto sotto i riflettori nemmeno per Schifani, Cicchitto, Verdini, Bondi, Scajola, Galan, Santanchè, Capezzone e tanti altri.

Azzerare le cariche significa, nella visione dell’ex premier, decapitare quella nomenklatura che nei talk show fa cambiare canale, che nelle urne non fa guadagnare voti, che litigando gli amareggia le giornate.

Addio Pdl, acronimo che «non scalda i cuori». Bye-bye dirigenti rissosi e disobbedienti. Ora o mai più: la mossa finale nella partita giudiziaria si incastra anche con la rivoluzione del partito. «Che follia liquidare così il partito, senza neppure che fosse presente il segretario» si è lamentato Alfano, dimenticando che è stato lui a disertare la riunione sapendo che il corso della storia era già scritto.

Adesso l’agenda è serratissima: l’8 dicembre, giorno dell’Immacolata, il consiglio nazionale dovrà sancire la ritrovata leadership indiscussa di Silvio. I numeri sono a buon punto, i falchi rassicurano, sorprese saranno difficili. Ma neppure questo basterà, perché il Cavaliere è invecchiato e affaticato ma certo non gli difetta il fiuto. E sa che, per risalire nei sondaggi, serve un orizzonte diverso da un leader 78enne, pregiudicato e nella sostanza estromesso dalla vita parlamentare. Soprattutto in un giorno che è anche quello delle primarie del Pd: e quasi certamente dell’incoronazione di Matteo Renzi, il futuro candidato premier con la metà dei suoi anni, il giovane politico dalla battuta fulminante che ha visto bucare lo schermo all’epoca del confronto tv tra i candidati delle primarie Dem per il voto di febbrao scorso. Proprio quel sindaco di Firenze che, in tempi meno livorosi, ha invidiato al centrosinistra.

Ecco perché la palingenesi deve per forza contenere in sé anche la cifra generazionale. E forse il Cavaliere ha trovato infine il «dinosauro nel cappello» che gli mancava. La persona carismatica a cui consegnare, chiavi in mano, la sua creatura appena rinata. Non è stato Mario Monti, non Mario Draghi, e neppure Montezemolo. Alla fine Silvio si è (quasi) convinto a mandare in campo la primogenita, la «cavaliera bionda» che potrebbe guidare le truppe sbandate all’armageddon nel nome del padre perseguitato. È consapevole dei dubbi degli uomini-azienda (Fedele Confalonieri in testa, ma anche Ennio Doris e Bruno Ermolli), dei rischi per la galassia Mediaset, delle resistenze dentro il partito. Dove Renato Brunetta è il capofila di quelli che non credono alla prosecuzione del ventennio sotto forma di Dynasty all’italiana.

PALINGENESI BIONDA
Pazienza, Berlusconi non è tipo da curarsi della democrazia interna. Denis Verdini e Maria Rosaria Rossi sono al lavoro sulle liste (ed è tornata in auge la leggenda sui «profili» slezionati da Flavio Briatore durante il suo talent show). Promesse come Simone Furlan, fondatore dell’Esercito di Silvio, e Alessandro Cattaneo, sindaco «formattatore» di Pavia, sono tenuti in considerazione. Mentre sulla leadership, sarà un consiglio di famiglia ad avere l’ultima parola. E soprattutto sarà lei, la figlia più grande e più simile nel carattere al padre, a scegliere della sua vita. Berlusconi non imporrà nulla, ma la disperazione potrebbe avere il sopravvento. «Si va verso un epilogo che nessuno vuole - sospira un lealista - Ma che non ha alternative. Almeno, al momento non se ne vedono».

LO SCENARIO PEGGIORE
Prima di questo new deal, però, Berlusconi ha un ostacolo potente sul cammino. Il voto sulla decadenza nell’aula di Palazzo Madama. Il momento simbolico che lo separerebbe dalla guida politica del suo movimento. Quello che le colombe aspettano per sferrare il loro attacco: «Dopo quel voto saremo più forti - sussurrano i più governisti - Ma se lui sopravvive per noi è la fine».

Inutile dire che il Cavaliere sarebbe felice di accontentarli. Contrariamente ai rumors, è scatenato per garantirsi il voto segreto. Lo hanno convinto - a torto o a ragione - che «manine» esterne, soprattutto tra i Cinque Stelle ma anche tra i «falchi del Pd», desiderose di accelerare la fine dell’esecutivo, nell’oscurità dell’urna potrebbero dargli una mano. Mentre lo scrutinio palese, caldeggiato dai duri e puri come la madre di tutte le conte, potrebbe trasformarsi in un bagno di sangue. Altro che stanare i traditori, è difficile che persino colombe come Quagliariello e Lorenzin si sfilino su un tema simile: il loro elettorato non glielo perdonerebbe. I suoi avvocati, insomma, hanno messo le mani avanti: potrebbe trovarsi con un partito unito e compatto, ma in minoranza. Proprio lo scenario che non può permettersi.