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 2013  ottobre 29 Martedì calendario

VERONA, LE INCHIESTE BRUCIANO IL MITO TOSI


Magari è la scelta giusta, quella di Flavio Tosi: puntare alla leadership della destra de-berlusconizzata e dimenticare Verona, che è meglio. Perché, con il passare delle ore, e con il procedere delle inchieste, il gran mito del «buon governo» leghista, che proprio a Verona pretendeva fondamento e stima, si sta riducendo in polvere.
Tosi, che non è un pirla, lo sa, capisce che i bei giorni sono alle spalle; sa anche che non può contare sulla solidarietà attiva di tutti i leghisti, nemmeno di quelli veronesi: è lui che, su indicazione di Roberto Maroni, ha messo la museruola alla stragrande maggioranza dei colonnelli di fede bossiana o comunque non allineati, e questi erano e sono soprattutto nel Veneto. Anzi: sotto il palco delle esecuzioni c’è una bella platea di leghisti che non vedono l’ora di assistere alla caduta imminente del traditore veneto emissario dei lombardi in terra veneta.
Intanto, occorre dimenticare Verona perché la cronaca giudiziaria sta rendendo incandescente il complesso telaio di potere e sotto-potere che ha retto la città con uno stile inconfondibile. Intanto: un paio di giorni fa, la procura veronese ha provveduto a decapitare – a proposito – i vertici di una grossissima azienda comunale, l’Agec, che si occupa della gestione di alloggi popolari, farmacie, mense, immobili di pregio e cimiteri. Sono finiti in carcere il direttore generale (Sandro Tartaglia), due dirigenti, un immobiliarista di Bressanone; altri cinque personaggi, tutti dipendenti dell’Agec, sono ora ai domiciliari. Sono tallonati da una pioggia di reati che vanno dalla corruzione al peculato all’abuso d’ufficio e altro ancora.
L’inchiesta non è finita e promette nuove sorprese. In questa storia non emerge, fin qui, alcuna targa politica, ma c’è un antefatto che getta luce ambigua sull’intera vicenda, poiché tutto nasce esattamente un anno fa quando sui tavoli della procura viene depositato un esposto su quella che appare una complessa ragnatela di interessi privati ai danni della cosa pubblica.
Firma il documento Michele Croce, che non è uno qualunque ma l’ex presidente dell’Agec, fatto fuori da Tosi senza tanti complimenti. Croce aveva commesso un errore: stava mettendo il naso dove non doveva, così, sull’onda di una trappola, era stato accusato di aver speso troppi soldi per risistemare gli uffici. Tosi, di fronte a questa accusa, non aveva usato cautele e Croce era stato liquidato con ignominia.
Anche Tosi ha forse commesso un errore, allora. Lo stesso che commette oggi mentre dedica infinita cautela alla presa d’atto della raffica di arresti in quella che è anche casa sua, l’Agec. «Dobbiamo capire bene i fatti…. aspettiamo»: dice così il sindaco di Verona. Magari son tutti innocenti, è vero, magari no, ma intanto gli uffici dell’Agec sono un deserto e quel deserto mette in discussione la qualità delle classi dirigenti che anche Tosi ha promosso nei gangli del bene pubblico veronese.
Il deserto dei Tosi
La città si specchia allibita in questa cronaca e il consigliere regionale del Pd, Franco Bonfante, conclude che siamo di fronte «ad una vera e propria valanga» che coinvolge un intero sistema di potere. Bonfante è il politico che in tempi non sospetti aveva denunciato – e siamo nel 2011 – lo stile Tosi, la scioltezza con cui il sindaco rampante aveva accettato che una ragnatela parentale e molto leghista avesse occupato le dependance del potere pubblico locale. Amt, Amia, Atv, nomi in scatola, sigle di partecipate, praticamente le più importanti di Verona, vengono colpite, nei giorni scorsi, da un’altra raffica di provvedimenti giudiziari in cui viene contestata a undici funzionari di vario livello una pesante irregolarità nella gestione delle risorse umane, nell’assunzione di personale al di fuori di ogni concorso pubblico.
Tuttavia, pur richiesta dalla procura, la sospensione dagli incarichi per gli indagati è stata negata dal Gip e questo ha impedito che tutti gli uffici delle partecipate veronesi si trasformassero, come quelli dell’Agec, in un deserto. «Vorrei aggiornare – spiega Bonfante – la validità di quel modello di buon governo che aveva fatto breccia non solo tra i leghisti. Ora Tosi finge di sorprendersi, par che quel che accade non sia roba sua, ma al posto suo qualche domanda me la porrei».
Il deserto dei Tosi?