Maria Gabriella Lanza, Il fatto Quotidiano 29/10/2013, 29 ottobre 2013
GLI INVISIBILI D’ITALIA: QUEGLI 872 CORPI DIMENTICATI DA TUTTI
Nel 1998 Pamela aveva solo 17 anni e un’intera vita davanti. Un futuro pieno di possibilità che lei non riusciva a vedere: i suoi occhi erano fissi su un presente fatto di paure, ripensamenti, decisioni che a quell’età sembrano definitive, inevitabili. Così Pamela è scappata: ha lasciato la sua famiglia a Roma ed è arrivata a Milano. Lì, lontano da tutti, si è suicidata. Non aveva documenti con sé, nessuno sapeva chi fosse. È rimasta 8 mesi nella camera mortuaria. Stava per essere sepolta senza un nome, quando una specializzanda l’ha riconosciuta grazie alla trasmissione Chi l’ha visto. Pamela poteva diventare uno degli 872 cadaveri non identificati in Italia. Storie perse, vite cancellate di senzatetto, anziani, migranti. Invisibili in vita, accovacciati davanti alle stazioni, in fila al supermercato sotto casa, seduti sulla panchina alla fermata dell’autobus.
INVISIBILI DA MORTI , dopo aver chiuso gli occhi distesi sui loro cartoni lungo i binari, nel letto di qualche ospedale o nella solitudine delle loro case. Rimangono negli obitori anche per anni, aspettando un funerale. Un’attesa inutile. La polizia ha il compito di rintracciare i parenti che spesso o non ci sono o non vogliono farsi carico della sepoltura. Per gli stranieri che muoiono in Italia, le ambasciate devono mettersi in contatto con i familiari e solo quando si ha la certezza che nessuno vuole occuparsi di loro, vengono sepolti dal Comune.
La dottoressa Cristina Cattaneo nell’Istituto di medicina legale di Milano di invisibili ne ha visti tanti: “Sul nostro sito abbiamo pubblicato le foto di 65 corpi non identificati”. In Europa non esiste un altro sito come questo. “Nel 2010 il ministero ha creato il RiSc, ricerca scomparsi, un sistema informativo che doveva incrociare le caratteristiche dei cadaveri con quelle degli scomparsi, ma tutto è ancora fermo”. In Italia risultano scomparse 27.000 persone, 11.615 sono minori. “La Croce Rossa Internazionale - continua la dottoressa - spesso ci chiede informazioni sui migranti di cui si sono perse le tracce. I loro parenti sono disperati. Se esistesse una banca dati, molti cadaveri avrebbero un’identità”. Dal 1988 sono morte tentando di raggiungere il nostro Paese circa 20.000 persone. Alcuni di loro giacciono senza nome nel cimitero di Cala Pisana a Lampedusa.
Ma tutte le nostre città sono piene di invisibili. A Roma 260 corpi aspettano di diventare persone almeno dopo la morte. Intanto sono un problema affidato all’Ama, azienda municipale per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Vengono sepolti nel cimitero di Prima Porta senza funerale. Né civile, né religioso. E nel “campo degli invisibili” ci sono anche loro: 99 bambini nati morti nel 2012 dopo la 28sima settimana, figli di mamme che non volevano o non potevano permettersi di pagare la sepoltura. Massimo Signoracci, tecnico di anatomia patologica dell’università La Sapienza di Roma, lavora all’obitorio del Verano: “Trenta corpi attendono un funerale. Alcuni sono qui dal 2009”. Tra di loro c’è Andrea, la trans colombiana massacrata di botte il 29 luglio alla stazione Termini. Aveva solo 28 anni. È stata abbandonata piena di lividi e ferite lungo il binario 10. Una vita ai margini, in cui ha conosciuto solo soprusi e violenze: era stata aggredita più volte tanto da finire sette mesi in coma. Non poteva più muovere il braccio e trascinava a fatica la gamba. Passava le sue giornate tra la stazione e la mensa della Caritas a Colle Oppio. Arrivata in Italia 4 anni fa, sognava una vita diversa: “Tutto quello che voglio è incontrare un ragazzo con tanti soldi che mi porti via dalla strada perché è troppa brutta”, aveva raccontato all’agenzia stampa Redattore Sociale pochi giorni prima di essere uccisa.
C’è il bimbo nato lo scorso febbraio che nella sua breve esistenza non ha avuto nulla, neanche un nome. La mamma Marika, una ragazza romana di 25 anni, quel piccolo non lo voleva. Ha partorito di nascosto, poi ha preso suo figlio, lo ha avvolto in un lenzuolo e chiuso in un busta. Il giorno dopo ha girato con il corpicino nella borsa: lo ha gettato nel cassonetto davanti all’ospedale San Camillo dove era andata per farsi curare l’emorragia dovuta al parto. Il bimbo era nato vivo. C’è un medico nigeriano che ha passato la sua vita a curare i pazienti in un ospedale di Roma, stimato da amici e colleghi. I parenti in Nigeria non si sono fatti avanti per la sepoltura. Ora anche lui aspetta da più di un anno un funerale.
LO STESSO AVVIENE a Napoli: nel cosiddetto “cimitero della pietà” di Poggioreale nel 2012 il Comune ha sepolto 70 persone, due di loro non sono state identificate. I bimbi nati morti sono stati 10. Accanto a questo campo, c’è l’area dei “fetolini”, il “limbo” come lo chiamano gli addetti del cimitero. Lì, dentro delle piccole cassette, vengono custoditi i feti dalla 20esima settimana in poi. Invisibili anche a Genova: il Comune ne ha sepolti 241, tra cui 11 bimbi. A Palermo, invece, i corpi non reclamati sono stati 58, due senza un nome e 12 bambini. Il primato tra queste città spetta a Torino: nel 2012 sono stati 284 le salme inumate, 17 erano bambini. Tra qualche anno di questo popolo di invisibili non rimarrà più nulla: i loro resti verranno bruciati per far posto ad altri corpi dimenticati da tutti. Invisibili sempre, per sempre.