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 2013  ottobre 29 Martedì calendario

SCOMMESSE IN NERO PER 8 MILIARDI. IL BUSINESS DEI BOSS E BROKER ILLEGALI


Un miliardo tondo tondo. Pari al costo sopportato dalla collettività per l’aumento del punto di Iva nell’anno in corso o quasi pari alla somma incassata per il versamento del bollo auto. La scommessa clandestina unita a quella degli operatori internazionali che entrano nel mercato italiano senza pagare dazio, spesso attraverso internet, sottrae all’erario una cedola miliardaria. Secondo una stima di Confindustria-Sistema gioco (che rappresenta circa l’80% degli operatori legali) criminali e società senza titolo, raccolgono una somma di giocate pari a oltre 8 miliardi di euro. Una quantità di denaro enorme sulla quale non viene pagato praticamente nulla allo Stato.

Un fenomeno accuratamente studiato e analizzato. In particolare l’illegalità si divide in tre grandi settori. Il primo è quello delle scommesse sportive. La rete fisica, quella per intendersi dell’allibratore che raccoglie la puntata, ha sottratto lo scorso anno circa 2,6 miliardi di euro, il 40% delle scommesse complessive che valgono 4 miliardi. La rete on-line, e cioè la possibilità di puntare denaro su eventi di sport attraverso siti web, sempre lo scorso anno, ha portato nelle casse clandestine un totale di 400 milioni di euro. Ancora poco, considerata la tecnologia e i mezzi di pagamenti telematici non ancora a disposizione degli utenti meno abbienti, ma comunque - segnala l’analisi di Confindustria - un fenomeno in forte espansione.

Il secondo pilastro del gioco che «ruba» è quello delle slot machines. Prima della regolamentazione le macchinette raccoglievano 35 miliardi di euro.

Lo scorso anno, quelle non in regola, hanno incassato 5 miliardi di euro e cioè l’8% della raccolta complessiva. Infine i giochi a distanza, tutti eccetto le scommesse sportive, nonostante l’introduzione dei giochi da casinò nel ventaglio dell’offerta legale che ha ridotto l’attrattività dell’on-line, ha tolto al gioco regolare quasi 400 milioni di euro. Il conto totale a spanne fa 8 miliardi di euro, uno dei quali avrebbe dovuto essere appannaggio dell’erario e dunque dei cittadini che avrebbero quantomeno goduto di una riduzione della pressione fiscale per una cifra analoga.

Soldi che restano nelle tasche invece di una rete composta da più soggetti, operatori internazionali che lavorano in Italia senza concessione ma grazie a sentenze comunitarie, a loro si accodano piccoli soggetti nazionali attratti dall’idea di fare impresa al di fuori di ogni regola e, in ultimo, grandi associazioni criminali che, come dimostrano anche le più recenti inchieste, hanno in alcuni casi messo in piedi veri e propri sistemi paralleli, facendo leva sulla capacità di penetrazione nel territorio e sulle pressoché illimitate disponibilità finanziarie.

Il danno è vario. Gli operatori illegali, non versando l’imposta, creano un nocumento immediato allo Stato. Non solo. Al fisco non vengono versati nemmeno gli oneri concessori che penalizzano il fisco ma anche gli operatori legali che pagano un costo ulteriore rispetto ai disonesti e sono costretti a offrire un servizio a prezzi più elevati.

Difficile ipotizzare quanto grande ed estesa sia la rete di illegalità. Nel corso del 2012 è stata effettuata da un gruppo di concessionari una rilevazione sul territorio che, sebbene non esaustiva, può dare un’idea sulla dimensione del fenomeno.

I punti irregolari e illegali censiti sono stati poco meno di 4mila, con una forte concentrazione nelle aree in cui è maggiore la raccolta di scommesse. In queste porzioni di territorio esiste un rapporto uno a uno (e in alcune province anche superiore) tra punti della rete legale e illegale, con scelte in merito alla localizzazione molto mirate da parte di chi ha deciso di restare fuori dalle regole: i punti illegali, infatti, aprono molto spesso in prossimità della rete autorizzata con l’intento evidente di beneficiare, quanto più possibile, del medesimo bacino d’utenza.

Secondo i dati forniti dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ad aprile scorso i controlli effettuati «a partire dal gennaio 2012 in 284 comuni d’Italia hanno permesso di rilevare 577 agenzie di raccolta scommesse prive di licenza di Pubblica Sicurezza».

Un dato che contribuisce a chiarire che il numero dei punti rilevato dai concessionari è in realtà solo una sottostima del numero totale di punti illegali attualmente aperti in Italia.

I procedimenti tributari che sono seguiti all’attività ispettiva condotta dall’amministrazione «hanno permesso, fino ad oggi, di accertare una base imponibile sottratta a tassazione pari a euro 296.366.156 e un totale di euro 19.775.399 a titolo di imposta unica sulle scommesse e relative sanzioni tributarie».

Applicando criteri simili di calcolo alla rete rilevata dai concessionari sul territorio e considerando anche gli altri mancati introiti per lo Stato derivanti dall’attività di una rete illegale (una tantum per l’acquisto dei diritti per l’apertura dei negozi e canoni di concessione annuali) è possibile determinare in oltre 380 milioni di euro la stima delle risorse complessive che il «comparto» illegale dovrebbe essere chiamato a versare per i soli ultimi 2 anni di attività.

L’imposta annua non versata è stimabile in circa 70 milioni (a cui è possibile sommare sanzioni almeno dello stesso importo, in virtù delle nuove disposizioni introdotte dall’art. 1 comma 66 della L. n. 220/2010); 15 sono i milioni annui di mancato incasso dei canoni di concessione e circa 70 sono i milioni che lo Stato avrebbe potuto incassare se i punti illegali fossero stati aggiudicati secondo le ordinarie procedure competitive cui si sono sottoposti i concessionari.

Fin qui le stime che come dimostrato sono da arrotondare sempre in difetto. Al danno emergente per le casse dell’erario si sommano, ovviamente, una serie di ulteriori costi (sociali e per il sistema paese nel suo complesso) di cui è difficile fornire una quantificazione puntuale, ma che in prima approssimazioni è possibile quantomeno equiparare ai costi diretti. È necessario, infatti, tenere in considerazione altri aspetti: i costi per le aziende derivanti dagli effetti distorsivi della concorrenza, i costi sociali derivanti dall’aumento dell’offerta di gioco non controllato e l’arricchimento che le organizzazioni criminali conseguono attraverso la gestione di una parte della rete illegale.