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 2013  ottobre 29 Martedì calendario

SCHIFANI IN CAMPO SFIDA LA MALEDIZIONE DEI SUPERPRESIDENTI


Che fare? Se lo chiedeva 111 anni fa Lenin, se lo domanda da qualche set­timana pure Renato Schifani. Ma dopo giorni di apnea e di sot­tilissimi equilibri, adesso il ca­pogruppo può tornare a respira­re: se davvero Angelino Alfano sta rientrando nell’ovile, allora non sarà necessario scegliere tra il Cav e il Delfino, non ci sarà bisogno di sfidare la maledizio­ne dei numeri due. «Sono sere­no », spiega infatti il presidente dei senatori del Pdl, che non vuole fare la fine di Pera e Sco­gnamiglio. E allora, con chi sta? Secondo Renato Brunetta il problema non si pone. «Angelino sta con Berlusconi, quindi...». Schifani però ancora non si sbilancia: «Lavoro per l’unità del partito». Parole sagge, moderate, perfet­tamente in linea con il suo ruolo istituzionale a Palazzo Mada­ma. L’uomo è ambizioso e l’in­carico di capogruppo gli sta stretto: in fondo, lui era la secon­da carica della Repubblica. Ma la prudenza non è mai troppa e i precedenti consigliano di evita­re passi falsi.
La maledizione non scherza. Prendete Irene Pivetti e la sua parabola, dai foulard al fidanza­tino ai completini dark. Era la più giovane presidentessa della Camera della storia, ora Wikipe­dia la ricorda come «conduttri­ce televisiva e giornalista », sorel­la della ormai più nota attrice Ve­ronica. Guardate Nicola Manci­no. Potentissimo presidente del Senato, più volte in lizza per in Quirinale, è finito alla sbarra a Palermo nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia insieme ai boss Brusca e Giuf­frè, accusato di falsa testimo­nianza e di voler «occultare il re­ato ».
Da seconda carica dello Stato a soubrette, imputato, desapa­recido. È la sindrome della pol­tronissima, un morbo che da vent’anni colpisce infallibil­mente tutti. Eppure una volta non era così. Durante la Prima Repubblica, diventare presi­dente di una delle Camere era come aver vinto la lotteria, era un formidabile trampolino per­so il Colle. Basta ricordare Giu­seppe Saragat, Giovanni Leone, Francesco Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro.
Poi le cose sono cambiate. Di Carlo Scognamiglio, presiden­te dell’assemblea di Palazzo Ma­dama all’epoca della discesa in campo di Silvio Berlusconi, se ne sono perse le tracce: è torna­to a insegnare Economia appli­cata alla Luiss. Della Pivetti inve­ce, come abbiamo visto, di trac­ce ne sono rimaste forse troppe.
E dopo un periodo di oblio, è ri­spuntato pure Marcello Pera. Il filosofo che diventò presidente del Senato e che scriveva libri a quattro mani con Papa Joseph Ratzinger,l’altro giorno ha pro­nosticato che «Forza Italia rina­sce già morta». Quanto ad Alfa­no, si chiedeva,«dov’è la propo­sta liberale?».
A volte ritornano. Più spesso spariscono. Come Irene Pivetti, che voleva spaccare la Lega ed è finita a fare l’ospite fissa nella trasmissione di Lorella Cuccari­ni. Come Gianfranco Fini, che voleva spaccare la destra e si è trovato senza partito e senza seg­gio parlamentare. Come Fausto Bertinotti, che voleva spaccare la sinistra e che adesso, come te­stimonia Dagospia , non si per­de nessun tipo di vernissage, di sfilata di moda, di mondanità.
Qualcuno, per carità, ha retto botta, ha resistito meglio alla ter­ribile maledizione. Franco Ma­rini, presidente del Senato fino al 2008, solo qualche mese fa ha sfiorato il Quirinale: capo dello Stato per una sola notte, ora si è ritagliato la parte del padre nobi­le. Luciano Violante si è ricicla­to come esperto di riforme istitu­zionali. Pier Ferdinando Casini galleggia come può. Dopo la rot­tura con il Cavaliere, il flop di Scelta Civica e lo scambio di te­nerezze con Mario Monti, sta la­vorando alla costruzione di una scialuppa per gli eventuali esuli del Pdl.
Poi c’è Giorgio Napolitano, l’unico ex presidente della Ca­mera eletto, e due volte, al Quiri­nale. L’unico con gli anticorpi.