Francesco Sisci, Il Sole 24 Ore 29/10/2013, 29 ottobre 2013
LE FIAMME A TIANANMEN BRUCIANO I PRIVILEGI DI STATO
È come se fosse scoppiata una bomba a San Pietro prima di un Conclave. Questo è ora per la Cina quell’auto scaraventata a piazza Tiananmen ieri a mezzogiorno, nell’imminenza dell’apertura di un Plenum del partito, previsto per il 2 novembre, che annuncia riforme straordinarie. Il veicolo si è incendiato, ha ucciso i tre passeggeri a bordo e altre due persone e ne ha ferite decine tra poliziotti di guardia e turisti di passaggio. Molte ore dopo l’evento, non si sa ancora se sia stato un incidente o un attentato. Alcuni testimoni dicono di avere sentito uno scoppio, ma potrebbe essere stato solo il fracasso della carrozzeria contro i pesanti guardrail di metallo ai bordi della piazza. Altri riferiscono che il veicolo correva già da molti metri vicino al marciapiede, ma forse l’autista non si era sentito bene.
In ogni caso l’evento non ha precedenti nella storia cinese e, azione pianificata o caso che sia, pare simboleggiare oggi tutta la drammaticità delle grandi riforme economiche spinte dal presidente Xi Jinping. Che dovrebbero finalmente azzoppare le grandi e inefficienti imprese di Stato, che inquinano e distorcono il mercato, e dovrebbero dare invece condizioni davvero eque alle imprese private, da sempre traino dello sviluppo nazionale ma ufficialmente solo cenerentole alla corte dello Stato cinese.
Tiananmen è infatti luogo simbolico e sacro per la Repubblica popolare. La piazza fu pensata da Mao che voleva uno spazio più grande della piazza Rossa di Mosca. Doveva essere teatro di adunate oceaniche che avrebbero dovuto fare impallidire quelle sovietiche. Qui nel 1966 il Grande Timoniere lanciò la feroce Rivoluzione Culturale davanti a milioni di giovani guardie rosse fatte confluire da ogni angolo del Paese. Qui Mao finì di fatto il suo regno dieci anni più tardi, quando a migliaia inondarono la piazza per celebrare la recente scomparsa del premier Zhou Enlai in un gesto di sfida proprio contro la Rivoluzione Culturale.
Qui ancora nel 1989 insorsero gli studenti che volevano democrazia subito, e qui tentarono di bruciarsi nel 2000 alcuni attivisti della setta messa fuorilegge dei Falun Gong. Dall’89 la piazza è proibita a manifestazioni e dal 2000 in ogni angolo ci sono estintori e poliziotti in borghese pronti a intervenire contro ogni gesto di protesta. Ma non si poteva prevedere l’auto lanciata contro il guardrail.
Da domani di certo la sicurezza sarà raddoppiata, nuove misure di prevenzioni introdotte. Ma resta il fatto che il controllo totale non è immaginabile. Così anche senza pensare a proteste politiche è impossibile prevenire le azioni di un matto o di qualcuno impazzito quando ci si siede tra circa 1,4 miliardi di cittadini cinesi.
Paradossalmente solo maggiore apertura e trasparenza possono permettere se non la prevenzione almeno una gestione positiva del dopo, eventuale, incidente. Silenzi imbarazzati di ore, difficoltà a comunicare, come è successo in questo caso, rendono solo molto difficile capire cosa è accaduto e credere alla versione ufficiale, qualunque essa sia. Resta poi il simbolo. Il presidente Xi, dopo 30 anni di riforme che avevano dapprima introdotto timidamente l’impresa privata, si appresta a un passaggio rivoluzionario.
Accordare eguaglianza di accesso al mercato per inefficienti imprese statali ed efficienti imprese private significa condannare le imprese statali a un ruolo che dovrebbe diventare minore. Xi ha fatto sapere che le aziende di Stato perderanno i privilegi dei vari monopoli che ora detengono, il loro speciale accesso al credito e più competizione verrà introdotta in molti settori del mercato.
Questo passaggio è cruciale per garantire che la crescita cinese proceda in maniera veloce nei prossimi decenni e non si areni intorno al 2020. Solo che queste riforme stanno già creando eserciti di nemici a Xi. Stuoli di boiardi di Stato, grandi e piccoli, temono giustamente nella riduzione del loro potere e delle loro prebende. Per questo si oppongono da mesi alle riforme sventolando la bandiera ideologica del maoismo e agitando lo spettro dei pochi malvagi imprenditori privati contro la folla di quelli rimasti in fondo alla scala sociale dello sviluppo. Ma riconoscere apertamente questa opposizione sarebbe darle legittimità e forza, ostacolando le riforme stesse. Quindi Xi deve usare la bandiera del maoismo per sottrarla ai suoi nemici e mettere il bavaglio all’opinione pubblica per evitare una coalizione di forze contro le riforme in corso.
L’auto in fiamme a Tiananmen diventa il vero o accidentale gesto di protesta contro le riforme, è il simbolo delle tante e grandi difficoltà che Xi ha incontrato e incontrerà nel riformare la struttura economica profonda del Paese.
Per la Cina si preparano anni di difficile lotta politica. Se Xi e la sua economia privata ed efficiente vincerà, in dieci anni il Paese potrebbe avere una moneta pienamente convertibile (come dovrebbe annunciare il Plenum) e dopo anche una qualche forma di democrazia politica, mentre lo sviluppo potrebbe continuare a ritmi sostenuti fino a oltre la metà del secolo. Se Xi invece verrà sconfitto, la strada dell’involuzione di tipo sovietico è già tracciata politicamente ed economicamente.