Enrico Verga, Libero 29/10/2013, 29 ottobre 2013
ALL’AMERICA SERVE UN IRAN AMICO PER TAGLIARE IL GAS AL GIGANTE CINESE
Conoscere l’Iran di oggi aiuta a comprendere il futuro del Medio Oriente e del centro Asia.
Sul fronte economico e strategico, l’Iran è molto più di una popolosa (75 milioni di abitanti) repubblica mediorientale. Le scoperte dei giacimenti di gas nel mare persiano lo rendono la seconda nazione nel mondo per ricchezza di gas dopo la Russia. La strategia energetica del neoministro del petrolio Bijan Namdar Zanganeh è semplice: lo sviluppo di una rete di distribuzione del gasbasata sul ricco giacimento di South Pars, condiviso con il vicino emirato del Qatarche possa fornire ai propri vicini (Pakistan a est e Iraq a ovest) un approvvigionamento stabile e continuo. Ulteriori sviluppi sono pianificati per l’estensione dei gasdotti verso Libano e Siriadefinite da molti il gasdotto sciita, dato che attraversa territori a maggioranza religiosa islamico-sciitae verso Cina e India via Pakistan. Questi progetti ambiziosi si integrano con l’attuale scenario iraniano di grande fornitore di petrolio e derivati chimici a Cina e India. Di recente discussione è poi un accordo per lo sviluppo di relazioni energetiche con l’Oman, nazione strategica per le rotte navali, divenuta il maggiore hub di distribuzione di ferro in Medio Oriente). Senza contare che l’Iran è porta di accesso per la antica Via della seta e ancora oggi, con gli accordi per i gasdotti e gli oleodotti, è una nazione strategica per il commercio su terra tra occidente e oriente tramite il centro Asia. Negli ultimi mesi qualcosa è cambiato per l’Iran. Prima di tutto l’elezione del presidente Rohani, che ha da subito manifestato aperture verso l’Occidente, partecipando alla conferenza Onu e parlando del futuro della repubblica. In secondo luogo il supporto dato alla crisi siriana al fine di porre un freno alla degenerazione del conflitto che rischiava di far implodere l’intera Lega Araba, trascinando le grandi potenze a un faccia a faccia troppo ravvicinato. Infine le recenti posizioni, seppur solo dichiarate, in merito alla disponibilità di discutere lo sviluppo nucleare iraniano, che ha destato timore tra le nazioni mediorientali alleate degli Usa.
Queste nuove situazioni sembrano aver spinto l’Occidente, con la leadership degli Usa, a rivedere l’agenda «Iran». Storica la telefonata tra Obama e Rohani, un evento che non succedeva dai tempi di Carter. Peraltro, questa timida apertura occidentale potrebbe suggerire un rinnovato interesse americano verso l’Iran. Uno scenario che merita una riflessione più amplia.
Gli Usa, con le nuove scoperte di shale gas, saranno energeticamente indipendenti tra pochi anni. Questo, insieme a una reindustrializzazione, porterà la nazione a tornare ad esportare il made in Usa. Un Iran favorevole, in quanto grande esportatore di gas e petrolio verso India e soprattutto Cina, potrebbe decidere di diminuire le sue esportazioni proprio verso Pechino, rendendo di fatto la domanda energetica cinese più difficile e costosa da soddisfare e, nel lungo periodo, rendendo più costose le merci cinesi. Inoltre un Iran in qualche modo filo-americano rappresenterebbe anche un partner militarmente stabile per contenere, benevolmente, l’espansione dell’Unione euroasiatica (promossa da Russia e Kazakistan come un modello euroasiatico simile, nel principio, all’Unione europea). Questa percezione strategica trova i suoi fondamenti nel libro «La grande scacchiera» di Zbigniew Brzezinski che, riferendosi al centro Asia, sosteneva che «nessuna potenza euroasiatica locale deve sorgere per competere con la presenza americana», e sempre in merito al centro Asia «esso rappresenta il futuro energetico e strategico del mondo». Chisia Brzezinskinon è un segreto: ex consigliere strategico di Carter, attualmente membro del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali (CSIS), il più importante think tank americana a cui il governo si rivolge per “consigli”.
Lo scenario di un’apertura occidentale è stato confermato anche dal nostro primo ministro Letta in autunno (dialogando all’Onu con Rohani), e da una precedente missione diplomatica italiana in Iran. Perfino dalla ambasciata americana a Roma giungono parole di cauto ottimismo: «Accogliamo l’apertura, ma procediamo con gli occhi ben aperti per vedere se ci saranno passi concreti da parte dell’Iran su questioni di basilare importanza, come i tempi e l’ambito del suo programma di arricchimento, la trasparenza di tutto il suo programma nucleare, e lo stoccaggio dell’uranio arricchito. In sintesi, guardiamo alle misure da parte dell’Iran che permettano di costruire fiducia e che iniziano ad affrontare alcune delle nostre preoccupazioni prioritarie sulla strada verso un accordo comprensivo».
La diplomazia, è noto, procede a piccolo passi. Forse qualcuno è stato fatto.