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 2013  ottobre 29 Martedì calendario

LA STRATEGIA DI D’ALEMA: STRAVOLGERE IL PARTITO PER DISINNESCARE RENZI


L’ultima carta di quelli che erano antirenziani prima e lo sono rimasti ora è costruirgli un partito contro. E, secondo step, farlo perdere. L’obiettivo è lui, Matteo Renzi, il vincitore designato. La sfida è il primo round della partita per la segreteria del Partito democratico, quello che si gioca tra gli iscritti. Questa, in sintesi, è la strategia a cui punta il fronte che sostiene Gianni Cuperlo, candidato alla guida del Pd, dietro il quale si muovono i custodi di quella tradizione diessina rimasti avversari del sindaco di Firenze. A cominciare da Massimo D’Alema e da Pier Luigi Bersani. Il primo passo, dunque, è quello che si sta svolgendo in questi giorni e si concluderà il prossimo fine settimana, con l’elezione dei segretari provinciali e di circolo. Cioè la struttura territoriale del partito, la base della piramide organizzativa. L’idea è semplice: neutralizzare quella che ormai è una vittoria annunciata nei gazebo eleggendo il maggior numero di segretari provinciali. In modo tale da puntellare nel cuore stesso del Pd un fronte ostile a Renzi. Così da «rendergli ingovernabile il partito, anche se vince», come spiega, con ottima sintesi, un cuperliano. E non si pensi che sia un obiettivo rinunciatario. Vista l’onda che trasporta Renzi, è chiaro che la missione di D’Alema e Cuperlo è quella di minimizzare le perdite. Di arginare il Rottamatore. Ma è un tentativo che potrebbe essere niente affatto indolore per Renzi.
Tanto che gli uomini più vicini al sindaco di Firenze sono tutti allertati, provincia per provincia, in una guerra di posizione. Che sta segnando molte vittorie, ma anche parecchie sconfitte. Le elezioni dei segretari provinciali si chiuderanno nel prossimo week-end, ma per ora la mappa che si va disegnando racconta di una battaglia sofferta. I candidati di Renzi hanno vinto a Milano, a Palermo, a Napoli, a Catanzaro, a Crotone. Ma hanno perso a Parma, nelle toscane Livorno e Pisa (roccheforti ancora del governatore Enrico Rossi). E poi a Bergamo, a Genova, a Salerno. A Roma la sfida è difficilissima. Mentre a Grosseto e a Catania i congressi sono stati sospesi per irregolarità.
È vero che, come dice un deputato renziano alla buvette di una Camera dei Deputati deserta, «i segretari provinciali non contano ». Ma sono significativi nella misura in cui anticipano come potrebbe andare dopo, nella votazione tra gli iscritti.
Il congresso del Pd, infatti, si snoda in due tempi: prima il voto tra gli iscritti (dal 7 al 17 novembre, con l’elezione del segretario nazionale e dei delegati che andranno alla convenzione nazionale, una mega-assemblea dove si voterà per i primi tre classificati). Poi le primarie, l’8 dicembre, con il ballottaggio tra i primi due. Su queste, che saranno aperte a tutti, non c’è partita. Stravincerà Renzi. Ma nel primo round, l’esito non sarà bulgaro. Come stannodimostrando, appunto, le elezioni dei segretari provinciali.
Tanto che nell’innercircle del sindaco di Firenze c’è una certa tensione. «Come sarà tra gli iscritti? Sarà durissima. È il nostro punto debole», ammette uno degli uomini più vicini al Rottamatore. Non a caso Renzi ha deciso di costituire, provincia per provincia, dei comitati “di guerra” dove siedono un renziano della prima ora, un rappresentante di Area Dem, i franceschiniani, e uno degli ultimi acquisti. Certo, c’è anche della scaramanzia. E brucia ancora la ferita delle scorse primarie, quando Renzi ha assaggiato la potenza dell’apparato. Sembrano passati secoli da allora. Metà di quell’apparato, è vero, è passato con quello che allora venivano considerato un infiltrato berlusconiano. Ma uno zoccolo duro resiste. E combatterà. «Certo, tra gli iscritti Renzi non ha il consenso che ha fuori», spiega Fausto Raciti, neo-deputato, segretario dei Giovani democratici e sostenitore di Cuperlo. Anche lui, per prudenza o scaramanzia, non si sbilancia: «Vincerà comunque Renzi anche tra gli iscritti...». Ma quando gli chiediamo con quale percentuale, azzarda un «cinquanta per cento o poco sopra». Il che sarebbe un bello schiaffo per il sindaco. Anche se poi, nei gazebo, dovesse vincere. Sarebbe la rappresentazione plastica di un partito che, per quasi metà, non sta con lui. E che è pronto a lavorargli contro. Senza contare che anche l’altra metà, quella che pure è salita sul carro, potrebbe dargli filo da torcere. «Il vero problema», confida un deputato renziano, «è come si farà a mettere insieme due partiti, due mentalità, due mondi diversi. Uno è quello che si è visto alla Leopolda, aperto, innovatore, l’altro è quello che si vede in moltissimi circoli, nelle federazioni. E parlo di gente, sia chiaro, che sta con noi, mica di nostri avversari. Ma ragionano in un altro modo, appartengono a un altro mondo».
Gli ostacoli, poi, non finiscono qui. L’ultima battaglia riguarda l’affluenza alle primarie. La speranza degli anti-renziani è che sia la più bassa di sempre. Così che la vittoria annunciata del sindaco risulti meno eclatante. Se non dimezzata, almeno meno trascinante. Raciti non ci crede: «Alla fine andranno a votare in tanti». Ma la delusione che si respira tra molti elettori del Pd, il fatto che la posta in gioco sia la guida del partito e non Palazzo Chigi, sono fattori che remano contro. Secondo Demopolis di sicuro andrà ai gazebo il 15% di chi ha votato Pd. Cioè un milione e mezzo di persone. Il resto è tutto da conquistare.