Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 29 Martedì calendario

E NEL NOME DEL PADRE È PACE TRA LE

DUE SORELLE –

MILANO — Altro che scissione del Pdl. Il primo risultato della grande battaglia per l’agibilità politica del Cavaliere è un altro: l’armistizio delle “Berluscone”, come lo chiama scherzando uno dei più vecchi collaboratori dell’ex premier. Titolo (esagerato, d’accordo): “C’eravamo tanto odiate”. Protagoniste: Marina, la primogenita di Arcore e Barbara, figlia del matrimonio con Veronica Lario. Che dopo aver passato una vita a pizzicarsi a mezzo stampa – tema il passato e il futuro dell’impero di famiglia – hanno sotterrato l’ascia di guerra e si sono schierate l’una a fianco del-l’altra, senza se e senza ma, nel nome del padre.
A Villa San Martino e dintorni nessuno si stupisce più di tanto: «La pace era nell’aria da tempo», dicono. Un segno? La recente nascita della B Cinque, la società in cui per la prima volta siedono tutti assieme i cinque figli di Silvio Berlusconi. «E la sentenza Mediaset – aggiungono – è stato il collante che ha rimarginato le ultime divisioni tra i rampolli di Arcore». Marina, diciamo la verità, non si è mossa di molto. In trincea lei c’è da una vita. In azienda, al vertice Mondadori e Fininvest, ma anche in politica dove ha sempre difeso con le unghie e con i denti il padre conquistandosi sul campo – auspici i falchi del Pdl – i “galloni” di erede alla leadership del centrodestra.
La vera sorpresa è la metamorfosi di Barbara, l’ex ribelle di casa. La variabile impazzita che fino a poco tempo fa aveva il potere di mandare in tilt a ogni uscita pubblica i comunicatori del Biscione. Finendo spesso – con sospetta regolarità dicono le malelingue – in rotta di collisione con la sorella maggiore. L’aneddotica
al riguardo è ricca: ha bocciato (ex-post) lo stop imposto da Marina e Piersilvio alla cessione di Mediaset a Rupert Murdoch («io l’avrei venduta», ha detto tranchant). Si è autocandidata alla poltrona di numero uno Mondadori – «studio per questo, me l’ha chiesto mio padre», ha detto a Vanity Fair nel 2009 – scatenando una tempesta che ha rischiato di mandare all’aria la festa per i 43 anni di Marina in Costa Smeralda («se viene Barbara io vado in Provenza», avrebbe minacciato secondo le cronache di allora). Qualche colpo di fioretto – complice la dolorosa separazione con la madre Veronica – l’ha rifilato pure a papà. Ricordando che per un uomo politico «non ci deve essere distinzione tra pubblico e privato» (parole pesanti come pietre nell’era del Bunga Bunga) e autodichiarandosi, tanto per gradire, «rappresentata da Renzi», dopo un incontro con il sindaco di Firenze.
Acqua passata. Oggi le polemiche sui beni di casa (e sull’eterno problema della divisione del patrimonio del Cavaliere) sono accantonate. I cinque figli si sono candidati a firmare, tutti assieme, la richiesta di grazia. E le due «leonesse di casa», come dicono soddisfatti i collaboratori dell’ex premier, marciano per la prima volta su rotte parallele e non una contro l’altra. La situazione è fluida. In palio ci sono tante poltrone (a Roma e ad Arcore). Ci sarà modo di accontentare tutti. E quando alla fine i tasselli andranno a posto, dicono sibillini a Villa San Martino, potrebbe persino esserci qualche sorpresa.