Stefano Mancini, La Stampa 29/10/2013, 29 ottobre 2013
L’EVOLUZIONE DELLA SPECIE VETTEL, UN PILOTA NEL FUTURO
Sebastian Vettel è l’ultimo anello evolutivo della specie pilota. Nel 2008, quando firmò con la Toro Rosso il primo contratto da titolare, la Formula 1 stava diventando ciò che è ora e per lui non è stato difficile adattarsi. Niente test, uso intensivo dei simulatori di guida, gestione dei consumi di gomme e benzina. La rivoluzione gliel’hanno cucita addosso durante la sua fase di crescita professionale, mentre i rivali erano costretti a cambiare abitudini consolidate. Prendiamo l’esempio del kers, il sistema per il recupero dell’energia introdotto nel 2009 (tipo auto ibrida, per capirci): i piloti che allora erano under 30 come Alonso, Raikkonen e Hamilton l’hanno imparato in fretta, uno più anziano come Fisichella è stato costretto a usarlo sulla Ferrari e non ne è venuto a capo. Vettel, al contrario, sportivamente parlando con il kers ci è nato.
Negli ultimi anni è cambiata la tattica più che la tecnica di guida, e il potere decisionale di chi sta al volante è diminuito: siamo al punto che i piloti devono chiedere il permesso di sorpassare. Sembra incredibile, ma nelle comunicazioni radio tra box e vetture è tutto un susseguirsi di «rallenta, attacca, gestisci, risparmia». Il pilota esegue, è un impiegato della velocità. L’unico a disubbidire con una certa frequenza è proprio Vettel, che della sua «Hungry Heidi» (Heidi l’affamata, così ha battezzato la Red Bull) conosce ogni segreto. «Se dici a un pilota di spingere, i suoi tempi sul giro diminuiscono di tre decimi», spiega Riccardo Ceccarelli, medico della F1 e fondatore del centro Formula Medicine per la preparazione dei piloti. Il guaio delle corse di oggi è che non glielo puoi dire, altrimenti distrugge gli pneumatici.
Nel 2014 il ruolo degli ingegneri sarà estremizzato, perché i serbatoi potranno contenere soltanto 100 chili di benzina (contro i 150-160 attuali) e chi non rispetterà le indicazioni dei tecnici resterà a secco. C’erano una volta acceleratore, freno, frizione e cambio a cloche. La benzina non era un problema, le gomme tanto meno. Alain Prost, 58 anni, quattro titoli mondiali come Vettel, giura che lui una monoposto attuale non saprebbe guidarla: «Troppi comandi, troppe cose a cui pensare. Vettel è molto più bravo di me, io non saprei da dove cominciare».
Un’altra rivoluzione fu quella tra anni Ottanta e Novanta: Michael Schumacher entrò in F1 assieme all’elettronica, e dell’uso di volanti sempre più complicati fece uno dei (tanti) punti di forza. Ma quando nel 2010 è tornato in pista dopo tre anni di pensione, ha trovato un mondo diverso e, a 40 anni suonati, non è riuscito a comprenderlo.
Il ciclo di Vettel è coinciso con quello della Red Bull: un progetto basato sulla simulazione e sul genio di Adrian Newey più che sui test in pista, che invece la Ferrari sfruttava al meglio. Squadra e pilota insieme possono demolire il record dei sette Mondiali di Schumacher, che era ritenuto inattaccabile.
All’indomani del trionfo in India, il team principal della Red Bull Christian Horner ci conta: «Sebastian ha il talento per farcela. In questo sport ci sono tanti elementi determinanti, a cominciare dall’essere sulla macchina giusta. Ma dal punto di vista dell’abilità, Sebastian ha disputato la miglior stagione della carriera».