Michele Brambilla, La Stampa 29/10/2013, 29 ottobre 2013
L’ELETTORATO PERSONALE DI SILVIO VALE ALMENO IL 15 PER CENTO
Non sarà più il Berlusconi di una volta ma un «partito personale» ce l’ha ancora, eccome: e parliamo di un partito di elettori, non di una struttura. Gente che vota centrodestra solo perché c’è lui. Che sia o no candidato: l’importante è che sia lui a scendere in campo personalmente, a spendersi nella campagna elettorale, a dare la sensazione di essere, chiunque sia l’aspirante premier, il vero capo.
Quanto pesa, oggi, questo «partito personale» di Berlusconi? Per essere più precisi: quanti sono i «voti personali» che Berlusconi porta al partito? Alessandra Ghisleri di Euromedia Research, la sondaggista di fiducia del Cavaliere, li stima «attorno al 15-18 per cento», pur raccomandandosi di precisare che si tratta della valutazione «di questo momento», e che «il rapporto tra gli italiani e la politica è diventato tale che tutto evolve continuamente».
I calcoli di Nando Pagnoncelli, di Ipsos, portano a conclusioni pressoché uguali: «Gli ultimi sondaggi danno un Pdl guidato da Berlusconi al 25 per cento dei voti validi. Di questi voti, il 65 per cento è da considerare l’elettorato personale del Cavaliere». Vale a dire poco più del 16 per cento del totale dei voti validi. Mentre un centrodestra guidato da Alfano, Quagliariello e gli altri «governativi»? Difficile dirlo. C’è il precedente di Monti e Casini, che si sono fermati all’8 per cento: ma era una proposta che si rivolgeva al di fuori del messaggio berlusconiano.
C’è dunque un motivo se falchi e lealisti continuano a pensare che non ci sia altro leader all’infuori di Silvio. Se poi questa scelta possa portare a rivincere le elezioni, o soltanto a una romantica avventura, è da vedere. Il consenso personale di Berlusconi resta forte: però da almeno tre anni il calo è continuo.
L’apice, il Cavaliere lo aveva raggiunto nel 2009. Dopo l’intervento a L’Aquila per il terremoto, dopo il congresso del Pdl e dopo la scelta - per molti sorprendente - di partecipare ai festeggiamenti del 25 aprile, Berlusconi aveva raggiunto il picco del 50 per cento di fiducia. Questo non vuol dire che il 50 per cento degli italiani avrebbe votato per lui: vuol dire che anche chi votava per i suoi avversari dopo quegli avvenimenti dava un giudizio positivo sul suo operato.
Poi il declino, motivato soprattutto da due fattori: «La crisi economica, che ha indebolito la figura del leader imprenditore che mette a posto le cose; e gli scandali personali», dice Pagnoncelli. «Metto i due fattori in una sequenza non casuale, perché la delusione per i cattivi risultati dell’economia è preponderante. Gli scandali certo sono stati importanti, ma molti elettori non li hanno creduti veri, oppure li hanno considerati irrilevanti. Dicevano: non mi interessa quello che fa a casa sua, mi interessa che risolva i problemi del Paese». Le elezioni di quest’anno hanno certificato l’enorme perdita di consenso. Berlusconi ripete che ha preso dieci milioni di voti, ma quelli sono i voti della coalizione. I numeri sono questi: il Pdl ha preso 7.300.000 voti e ne ha persi 6.300.000. Un crollo che ha pochi precedenti, forse nessuno. Gli studi dell’Ipsos danno poi altre indicazioni. Berlusconi ha perso soprattutto tra i ceti produttivi, delusi per l’esperienza di governo 2008-2011. Il Pdl di oggi ha meno consensi tra i giovani e tra i cattolici, ed è un partito meno scolarizzato: il 68 per cento dei suoi elettori ha la licenza elementare, quella media o nessun titolo di studio. Il 13 per cento è fatto di pensionati e un altro 13 di casalinghe; donne e uomini pari sono, mentre prima l’elettorato del Cavaliere era in prevalenza femminile. Infine: chi vota Pdl, rispetto a chi vota centrosinistra, legge meno i giornali e guarda di più la televisione.
Riuscirà il Cavaliere nell’ennesimo ribaltone? Oggi Renzi è dato in grado di erodergli circa un dieci per cento dell’elettorato, soprattutto fra i ceti produttivi: sul totale nazionale, vorrebbe dire un 2 per cento in più al centrosinistra. Tuttavia la sfida è aperta proprio perché resiste, appunto, questo «partito personale» di Berlusconi, fatto da italiani che continuano a vedere solo in lui l’incarnazione di certi ideali: meno tasse, meno burocrazia, meno dipendenza dall’Europa. Giusto un anno fa, il Pdl senza Berlusconi era dato al 12-13 per cento nei sondaggi; quando lui ha preso la guida della campagna elettorale, è cominciata la rimonta.
Insomma Silvio Berlusconi è in una fase di calo, anche per l’età, in un momento in cui gli italiani chiedono soprattutto rinnovamento; ma ha ancora un popolo disposto a seguirlo. Un popolo che seguirebbe anche Marina? «Non saprei, non l’abbiamo ancora testata», dice Alessandra Ghisleri. Che però aggiunge: «Ma Berlusconi, se decidesse di candidare la figlia, lo farebbe seguendo il suo fiuto. Che vale più dei sondaggi».