Alessandro De Nicola, Affari&Finanza, la Repubblica 28/10/2013, 28 ottobre 2013
PERCHÉ È INUTILE RIFARE LA LEGGE
Un principio del buon legislatore, da Solone in poi, è quello di non legiferare sotto la pressione della fretta. Invero, un altro pilastro riconosciuto da sempre per qualsiasi stato di diritto è che le leggi debbono essere generali ed astratte e non mirate a casi singoli. Una giusta riprovazione suscitano infine le norme retroattive.
Inoltre, disposizioni precise che lasciano poca discrezionalità ’politica’ a governo ed autorità regolatorie limitano le violazioni della Rule of Law, aiutano la certezza del diritto, incoraggiano gli investimenti e diminuiscono il contenzioso giudiziario. Infine, quando il nostro Paese é l’unico ad adottare soluzioni sconosciute nel resto del mondo, raramente succede perché noi siamo i più intelligenti e creativi. L’ordine del giorno approvato dal Senato ed ispirato dal senatore Mucchetti, che impegna il governo italiano a rivedere la legge sull’Opa, ha la peculiare caratteristica di riuscire ad infrangere tutti insieme i principi sopra descritti. Chapeau!
L’ordine del giorno richiede che il governo legiferi prima possibile affinché la spagnola Telefonica non possa completare l’acquisto di Telco (holding che ha la maggioranza relativa di Telecom con il 22%) senza dover obbligatoriamente lanciare un’Opa sul residuo 78%. La modifica al Testo unico della Finanza del 1998 dovrebbe dire che chiunque acquisti il controllo di fatto di una società quotata debba promuovere un’Opa, mentre la legge attuale prescrive l’obbligatorietà solo se si supera il 30%. Così facendo, il Parlamento approverebbe un provvedimento importante senza alcuna riflessione, contra personam (Telefonica), sostanzialmente retroattivo (ci si risparmi la capziosità accademica sul fatto che l’operazione non é ancora giuridicamente conclusa: obiezione da leguleio come me, non da uomini di mercato), lasciando ampia discrezionalità alla Consob di determinare quando si acquista il controllo, esponendo qualsiasi decisione a ricorsi giudiziari per danni e facendo sì che l’Italia adotti una normativa sconosciuta al resto del mondo (salvo Spagna, Estonia, Danimarca e Repubblica Ceca, giganti mondiali degli scambi azionari). Tra l’altro, in Spagna l’obbligo scatta sotto il 30% solo se l’azionista di maggioranza relativa nomina nei 24 mesi successivi più della metà dei membri del consiglio di amministrazione: ironia della sorte, una simile norma non bloccherebbe Telefonica.
Il testo delle modifiche proposte, entusiasticamente accolte dal governo attraverso il viceministro Fassina, prevede che il controllo di fatto sia di chiunque, a giudizio della Consob, per due assemblee consecutive nomini amministratori che esercitino un’influenza dominate nella gestione. Un obbrobrio mai visto nel resto del pianeta che potrebbe obbligare addirittura chi ha il 10% di una public company e indica l’amministratore delegato a lanciare un’Opa. E non ci si può ribellare: chi si lancerebbe in una disquisizione tribunalizia con l’autorità di vigilanza lasciando una società quotata nel limbo? Uno vero sfregio allo Stato di diritto e al diritto di difesa.
L’OdG Mucchetti ha l’esplicito fine di impedire agli spagnoli di acquisire il controllo di Telecom e già questo potrebbe bastare a confermare agli investitori internazionali che l’Italia é un paese inaffidabile. Tuttavia, a ragionare in termini più generali, si potrebbe argomentare che il fine dell’auspicato decreto governativo sarebbe quello di far godere anche agli azionisti di minoranza il prezzo maggiorato pagato da Telefonica a Generali, Intesa e Mediobanca. In fondo, questo é il motivo per il quale esiste la soglia del 30% oltrepassata la quale c’è l’obbligo di lanciare un’Opa ’totalitaria’. Vero, ma come ogni intervento che cerca di “raddrizzare’ il mercato, non bisogna abusarne. Prescindiamo pure dal fatto che da quando, un mese fa, è stato reso noto l’accordo su Telco il valore del titolo è aumentato di quasi il 20% e i soci di minoranza hanno comunque guadagnato. Bisognerebbe chiedersi come mai non vi sia uno straccio di compratore che voglia acquistare il 23% dell’ex monopolista e assicurarsene il controllo. Le spiegazioni sono due: la prima è che nessun operatore sano di mente vuole avere a che fare con la politica italiana. La seconda che Telecom non invoglia a investimenti eccessivi. Sotto questo profilo la cessione a Telefonica è comunque un’allocazione efficiente di risorse perché l’alternativa a questa operazione è di tenere dentro 3 riluttanti azionisti italiani senza alcuna voglia di rimanere né di investire: il trionfo dello status quo.
Ma Telefonica ha un conflitto di interessi in Sud America! Può darsi, ma certo non vuole perdere dal suo investimento in Italia e l’equità degli accordi che verranno in futuro conclusi all’interno del gruppo sono presidiati dal regolamento sulle operazioni con parti correlate, dagli amministratori di minoranza, dalla possibilità di iniziare un’azione sociale di responsabilità contro gli ammini-stratori o nei confronti della capogruppo per scorretta gestione, la convocazione dell’assemblea per la revoca del Cda e da una miriade di altre norme. É bene dunque favorire il cosiddetto mercato del controllo e far sì che le aziende passino di mano per evitare pietrificazioni al comando e favorire chi si ritiene in grado di gestirle meglio. Una soglia molto bassa per le Opa obbligatoria, lungi dal proteggere le minoranze, è invece scoraggiante, in quanto o non si fa niente o gli acquirenti devono avere soldi sufficienti per il 100% delle azioni e indebitarsi pesantemente con le banche: non è forse il tipo di operazione rimproverata ai Capitani Coraggiosi di Colaninno ai tempi dell’Opa del 2001? La politica italiana é lentissima quando si tratta di abolire i propri privilegi, velocissima allorché deve aumentare la sua capacità di interferenza: avanti così che andiamo bene.
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