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 2013  ottobre 28 Lunedì calendario

ADDIO A LUIGI MAGNI IL VERO MANGIAPRETI CHE APPREZZAVA LA CHIESA


«Sono un cattocomunista convinto. Ho risposato mia moglie in chiesa, dopo vent’anni di matrimonio civile. Che cosa devo fare per convincere Gian Luigi Rondi che non ce l’ho con la Chiesa?», scherzava Luigi Magni,scomparso ieri all’età di 85 anni, sentendosi perseguitato dal decano dei critici di cinema per via del suo anticlericalismo. Qualcosa di radicato nei suoi film più noti, come Nell’anno del Signore (1969) e In nome del Papa Re (1977), girati con l’attore-feticcio Nino Manfredi, ciociaro come Marcello Mastroianni. E adesso che il regista romano è morto a 85 anni, dopo aver raccontato meglio di chiunque l’anima mangiapreti della Città Eterna, dove ha sempre vissuto e dove anticlericalismo e zelo religioso convivono, tutto è cambiato. Dalla papalina Porta Pia hanno appena sloggiato i black bloc e lo spirito bonario del suo genere cinematografico regionale, anzi locale, dedicato all’esplorazione della storia capitolina, tra farsa e dramma, appartiene a un passato più ingenuo e non ancora globalizzato.
Neanche il potere temporale, criticato in numerose pellicole, presenta più le ipocrisie patenti sbeffeggiate da Magni sotto forma di stornelli: oggi sappiamo che le sue polemiche verso una Chiesa ingiusta avevano più di un fondamento. A dispetto di quanti lo criticarono - «per farmi perdonare, sto scrivendo dell’amico scomparso in termini lusinghieri »,dice al telefono Rondi-questo cantore della plebe quirite, che parlava forte, chiaro e dialettale lascia parecchi affreschi di rilievo, lungo una filmografia accumulata a fianco di Mario Monicelli, Carlo Lizzani e Mauro Bolognini.
Fu nel ’77, in piena contestazione studentesca, che lacritica si accorse dell’alto artigianato di Magni, fin lì abbastanza spregiato dalla critica militante, premiando In nome del Papa Re con il David di Donatello per la migliore sceneggiatura. Le vicende di un rivoluzionario anti- papale che,infine,scopre d’esser stato generato da un monsignore, convinse anche i più scettici che ci voleva vero talento per dominare i toni picareschi e agrodolci così tipici del cinema di Magni, senza scadere nel bozzettismo. La Roma papalina, ipocrita e benevolente, saggia e cattiva, gli era nel sangue fin da quando, nel ’68, Magni decise di passare alla regia, dopo molta gavetta accanto ad Alberto Lattuada, Pasquale Festa Campanile e Giorgio Bianchi, firmando Faustina , divertente commedia con gli attori di prosa Renzo Montagnani e Ottavia Piccolo nei panni di un «tombarolo» manesco e di sua moglie, picchiata un giorno sì e l’altro pure. Quell’esordio fu un successo e fece sì che il regista siglasse Nell’anno del Signore , con un cast brillante: Claudia Cardinale nel ruolo della popolana ebrea Giuditta, simpatizzante dei carbonari; Robert Hossein, fascinoso come Leonida Montanari, carbonaro romano sodale del carbonaro modenese Angelo Targhini, impersonato da Renaud Verley e, soprattutto, Alberto Sordi, starring un frate tartufesco e Ugo Tognazzi nella parte del Cardinal Rivarola, assertore dell’ordine supremo nello Stato Pontificio.
Basato su un fatto realmente accaduto, l’esecuzione capitale di Targhini e Montanari, decapitati in Piazza del Popolo dal boia Mastro Titta nel 1825, Nell’anno del Signore fu il primo d’una trilogia, composta da In nome del papa Re e In nome del popolo sovrano (’90), ancora volti a smascherare le falsità del potere. Certo, con Papa Francesco sarebbe stato arduo, per Magni, prendersela col potere pontificio del secolo XIX, disegnando un quadro più universale del potere marcio in sé. «Buonanotte, popolo», come motteggia Montanari prima d’infilare la testa nella ghigliottina, oggi viene detto sotto altre forme, meno eroiche, e proprio da quei potenti che Magni prese di petto.