Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 28 Lunedì calendario

COSÌ SI È ROTTA LA ROULETTE DEI CONDONI


Game is over. Les jeux sont faits. La roulette degli scudi fiscali e dei condoni è ormai fuori uso, non solo in Italia ma praticamente in tutto il mondo. Da un paio di anni si sta parlando di un surrogato dello scudo fiscale, gli accordi chiamati Rubik, in base ai quali la Svizzera si è impegnata ad eseguire un prelievo forzoso – di non lieve entità – sui capitali esistenti in quel Paese e non dichiarati dai contribuenti soggetti alla giurisdizione fiscale firmataria dell’accordo.
Ma la storia degli accordi Rubik è stata negativa, ed è quindi impensabile che ce ne possano essere degli altri. La Germania ne ha firmato uno, che però non è mai entrato in vigore per la mancata ratifica parlamentare; forse ha funzionato quello con l’Austria, mentre è stato un fiasco colossale quello con la Gran Bretagna – Paese peraltro impegnato in ben altre procedure di autodichiarazione. Non è stato nemmeno raggiunto il minimo garantito dalle banche, che sono state pertanto obbligate dall’autorità di controllo ad assorbire pro-quota il deficit del mancato gettito iniziale.
Dove saranno finiti i soldi svizzeri degli inglesi? Questi accordi prevedono espressamente che nel caso di trasferimento dei fondi in un altro Paese, la Svizzera debba comunicare in quali Paesi sia andata la parte prevalente del denaro sfuggito alla tagliola per fuga all’estero.
E qui – ribadito che non si vede nessun futuro per ulteriori accordi di questo genere – si inserisce il tema relativo alla progressiva estensione dello scambio di informazioni anche da parte dei “paradisi fiscali”, che l’Ocse sta caldeggiando a livello mondiale, con evidente appoggio politico.


Le linee di tendenza sono due: per i Paesi che hanno sottoscritto una convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni, sostituire l’articolo 26 dei trattati con il nuovo testo del modello, in base al quale la richiesta di informazioni non può essere respinta nel caso in cui dovesse violare il segreto bancario nazionale; per i Paesi privi di convenzione, tipicamente i "paradisi", sottoscrivere accordi finalizzati unicamente allo scambio di informazioni.
Questi accordi si chiamano, in sigla, Tiea (Tax information exchange agreements). E qui va segnalata una singolarità del nostro Paese. Al momento ha sottoscritto sei di questi accordi, il primo con le Isole Cook, gli altri con Jersey, Guernsey, Gibilterra, Bermuda e Cayman.
Se andiamo sul sito del ministero delle Finanze, dedicato alla fiscalità internazionale, non ne troveremo neanche uno, in quanto la nostra banca dati riporta solo quelli entrati in vigore, mentre l’Ocse pubblica l’elenco di quelli sottoscritti, ovviamente con l’annotazione che non esplicano al momento nessun effetto.
Anche questi accordi hanno la natura di trattati internazionali, e, nel rispetto delle regole costituzionali (in particolare l’articolo 80), richiedono che venga approvata una legge di ratifica. Quello che non si riesce a capire è il motivo per cui, finora, nessun disegno di legge sia stato presentato al Parlamento. Nella precedente legislatura era stato fatto per il primo trattato, poi il progetto era decaduto. Oltre a tutto si tratta di norme che si possono fare con il copia-incolla, in quanto non presentano particolari difficoltà e, a differenza delle convenzioni complete, non comportano oneri a carico dello Stato italiano. Certo, l’onere di rispondere alle richieste è a carico di entrambe le parti contraenti, ma è pressoché inimmaginabile che un paradiso fiscale voglia sapere se un suo contribuente ha nascosto dei soldi all’estero.
L’altro grimaldello per scalzare la porta chiusa del segreto bancario è nella disciplina antiriciclaggio. Al riguardo la concordanza con la normativa fiscale risulta anche da un riscontro fisico: a Parigi, in rue André Pascal, 2 hanno sede sia l’Ocse – che sta promuovendo e gestendo il tema della trasparenza fiscale tra Stati – sia il Gafi (o Fatf) che coordina le iniziative mondiali contro il riciclaggio del denaro frutto di reati o che possa essere indirizzato per il finanziamento del terrorismo.
Il rientro dei capitali ha bisogno, però, di essere accompagnato da regole chiare e ragionevoli. E se, come sembra, occorrono disposizioni di legge ad hoc, specie per le ipotesi costitutive di reato, che vengano approvate al più presto.