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 2013  ottobre 28 Lunedì calendario

COSÌ LAVORAVAMO IN MOSTRA 160 ANNI DI INDUSTRIA ITALIANA


C’era un tempo in cui l’industria era un mondo fatto di ferro e fuoco, macchine spaventose e officine titaniche. Ci sarà persino chi lo canterà come l’uscita dell’uomo dalla minorità e il suo ingresso nella modernità.
Il lavoro a metà Ottocento lasciava i ritmi arcaici delle campagne e diventava operaio nelle fabbriche, nei cantieri e nei porti. Come un crescendo: ecco il treno; la meccanica delle caldaie, delle turbine, degli apparati motore; la produzione navale con i transatlantici; l’epopea dell’acciaio; le mastodontiche centrali e gli impianti per l’elettrificazione del Paese; la produzione bellica con corazzate, cannoni, aerei e carri armati; fascismo-guerra-Resistenza-ricostruzione; le colonie e le gite dei lavoratori negli Anni Cinquanta; il miracolo economico degli Anni Sessanta; l’automobile, il tempo libero e la trasformazione urbanistica; l’irrompere dell’informatica e dell’automazione.
Scriveva Epicuro: «Chi non ricorda il bene passato è vecchio già oggi». In effetti è un po’ triste vivere in un mondo che non ha cura della propria memoria. La difesa e il culto delle proprie radici sono valori da difendere con tenacia, sempre. Soprattutto oggi che un modello economico-produttivo è in crisi e si tenta di riprendere le fila di un «saper fare che è sempre stato riconosciuto all’industria italiana, ma che si rischia di perdere.
Questo in fondo è in senso della mostra «Scatti di industria. 160 anni di immagini dalla Fototeca Ansaldo» che apre domani, 29 ottobre nelle sale del Munizioniere di Palazzo Ducale a Genova.
Una grande rassegna che testimonia, attraverso un migliaio di immagini fotografiche, la lunga stagione del «saper fare» industriale italiano che a Genova aveva uno dei suoi pilastri e dei suoi cuori pulsanti nello stabilimento voluto da Cavour nel 1853. Nella mostra si trovano fotografie multimedializzate o esposte in originale, e gigantografie che, a partire dalla metà del secolo XIX, illustrano il lavoro nelle officine, nei cantieri e nei porti.
Centosessant’anni di radicate e diffuse capacità progettuali e costruttive, di trasformazioni tecnologiche e di cultura del lavoro, documentati con immagini che provengono dalla Fototeca della Fondazione Ansaldo, l’istituzione culturale presieduta da Luigi Giraldi, dove, oltre a 400mila preziose foto d’epoca, è custodita oggi la più ricca concentrazione di archivi storici economici e d’impresa d’Italia. A disposizione della comunità scientifica, 15 chilometri di documenti societari, oltre a 5mila pellicole originali che documentano diversi aspetti della vita economica e sociale italiana del Novecento.
La mostra, pensata per un pubblico vasto e culturalmente diversificato, non obbliga il visitatore a un percorso prestabilito. Ci si può limitare a una suggestiva vista d’insieme percorrendo, in pochi minuti, la galleria delle gigantografie: stampate nel bianco e nero delle lastre originali e in ordine cronologico, permettono di intravvedere le forme del paesaggio industriale, le filiere produttive, gli uomini al lavoro e i loro manufatti dalla metà dell’800 a oggi, all’esplosione di colore delle fotografie di Edoardo Montaina, uno dei più rappresentativi contemporanei.
Citando a caso fra le mille foto esposte, troviamo la mitica locomotiva Sampierdarena del 1854, i cannoni da 381 usati nella Grande Guerra, le auto Ansaldo fabbricate a Torino nel 1920, l’idrovolante Sva utilizzato da D’Annunzio, il varo del Rex, le centinaia di operaie al lavoro nel 1936 alla bobinatura, Benito Mussolini che in auto attraversa la fabbrica di Genova col braccio teso. Ma anche la difesa degli impianti, la Resistenza, il Dopoguerra, la ricostruzione, i transatlantici Eugenio C, Raffaello e Michelangelo, le locomotrici degli anni ‘60 e ‘70, le grandi turbine delle centrali, la scommessa nucleare abortita. E, soprattutto, una stupefacente umanità fatta di operai e operaie, uomini e donne, tecnici e ingegneri orgogliosi e gelosi del loro saper fare, portatori di cultura industriale e fieri del proprio senso di appartenenza, che va al di là delle ideologie e dello stesso conflitto di classe.
La mostra, però, è molto di più. Chi vuole può intrattenersi con le lavagne touch screen o usare le torce multimediali; entrare in un antico laboratorio fotografico («do sciù Campostano») o sostare presso le postazioni interattive dove importanti vicende industriali prendono corpo e vengono narrate grazie alle fotografie. Quattro postazioni si attivano quando il visitatore si avvicina. Brevi filmati prendono avvio su un grande schermo. Sono storie di uomini e di officine, di tecnologie e di produzioni. Storie poco note e apparentemente lontane, ma importanti perché tutti ne facciamo parte.