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 2013  ottobre 28 Lunedì calendario

MA IN AMERICA NESSUNO SI SCANDALIZZA


La storia dello spionaggio americano in Europa ieri non era nemmeno fra le prime dieci notizie, sui siti di «New York Times», «Wall Street Journal» o «Washington Post».

Immaginate sulle prime pagine del Nebraska o del Montana. Era completamente assente dal sito dell’Arkansas «Democrat-Gazette», che pure apriva con una vicenda internazionale quasi dimenticata da noi europei: 66 morti in Iraq, per gli attentati avvenuti ieri. La situazione si è movimentata un po’ nel pomeriggio, quando su Internet hanno rimbalzato i commenti di Mike Rogers, presidente della Commissione Intelligence della Camera, che in sostanza ci ha chiesto di smetterla di lamentarci e fare gli ipocriti: «Se solo i francesi sapessero come questi programmi sono stati disegnati per proteggerli dal terrorismo, stapperebbero bottiglie di champagne».
Non è un caso, il risultato di questo sondaggio estemporaneo sulla penetrazione mediatica domenicale del Datagate europeo. La maggioranza degli americani non è impressionata. Gli addetti ai lavori sono più preoccupati per gli effetti negativi che potrebbe avere tanto nella collaborazione contro il terrorismo, quanto nei rapporti commerciali. Anche fra di loro, però, comincia ad affiorare una certa insofferenza, per l’esagerazione con cui si tratta la vicenda sull’altra sponda dell’Atlantico.
L’America profonda che sta trascurando questo scandalo in sostanza ha già dato. C’è stata grande attenzione quando sono apparse le prime rivelazioni di Edward Snowden, soprattutto perché qualcuno ci ha letto gli echi di quanto aveva detto negli anni Settanta il senatore Frank Church, presiedendo la commissione sulle attività illegali dei servizi di intelligence: «La tecnologia ora consente agli Stati Uniti di controllare i messaggi che viaggiano nell’aria. Mentre è necessario combattere i nemici, tale capacità potrebbe essere rovesciata contro gli americani, che non avrebbero più alcuna privacy. E se il governo diventasse tirannico, la tecnologia lo aiuterebbe».
Questo dibattito si è ripetuto dopo il caso Snowden, è stato molto intenso, ma la conclusione è meno devastante del previsto: «Basta – ci ha detto lo scrittore Paul Auster – non voglio parlarne più. Sono deluso e preoccupato, ma basta». Gli americani medi restano scettici, ma faticano ad appassionarsi alle preoccupazioni degli europei, anche perché sono distratti dall’economia e dai guai della riforma sanitaria. Basti sapere che sabato c’è stata una marcia di protesta a Washington contro lo spionaggio, e secondo le stime generose degli stessi organizzatori hanno partecipato 2.000 persone.
La percezione è diversa tra gli addetti ai lavori, per le ripercussioni che le polemiche con l’Europa potrebbero avere sulla collaborazione nella lotta al terrorismo, le trattative in corso per firmare il trattato di libero scambio tra Usa e Ue, e la libertà di operare delle compagnie di internet, a cui Bruxelles potrebbe imporre nuove regole per impedire che passino informazioni all’intelligence americana. Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations, sostiene che tutto questo non sarebbe avvenuto durante la Guerra Fredda: «Allora avevamo più ammortizzatori. La polemica è parte di un più ampio allontanamento degli europei dagli Stati Uniti». Se ciò fosse vero, la preoccupazione dovrebbe riguardare anche l’America profonda: gli europei non hanno più l’ammirazione, l’affetto e la dipendenza di un tempo dagli Usa, e quindi guardano altrove anche sul piano commerciale e della sicurezza. Nello stesso tempo, però, è pure vero che la mossa più innovativa della politica estera americana nell’ultimo decennio è stata forse il «pivot» verso l’Asia, a dimostrazione che gli stessi Stati Uniti guardano altrove.
L’attacco di Rogers è significativo, perché dimostra l’impazienza che matura in certi ambienti, stanchi di un’ipocrisia europea non giustificata dai fatti. Tempo fa Stewart Baker, ex general counsel della Nsa, ha parlato così alla Commissione Giustizia della Camera: «Secondo i dati del Max Planck Institute, hai 100 volte più probabilità di essere spiato dal tuo governo se vivi in Olanda o in Italia, che negli Usa, e 30 o 50 se sei francese o tedesco». Questi dati si riferiscono alle intercettazioni delle autorità giudiziarie europee, più attive delle agenzie di intelligence americane, e dimostrano la disconnessione. Infatti «New York Times» e «Washington Post», che nei giorni scorsi hanno pubblicato editoriali critici verso l’amministrazione, hanno lanciato questo semplice messaggio: spiate pure, ma usate più buon senso.