Umberto Bottazzini e Pietro Nastasi, Il Sole 24 Ore 27/10/2013, 27 ottobre 2013
IL RISORGIMENTO MATEMATICO
Il 20 novembre 1860 gli studenti affollano l’Aula magna dell’Università di Bologna in un’atmosfera di grande eccitazione e curiosità. È annunciata la prolusione a un nuovo corso di geometria superiore da parte di un giovane professore di fresca nomina inviato dal governo di Torino, capitale del Regno di Sardegna. L’Alma mater, che a Bologna riapre i battenti, ha perso infatti l’appellativo pontificia, che l’aveva designata nei lunghi secoli del potere temporale. Non è la sola novità in una stagione di grandi e radicali cambiamenti, nell’università e nel Paese. In poco più di un anno, da quando Vittorio Emanuele II e Napoleone III sono entrati trionfalmente a Milano, il panorama politico è profondamente mutato.
Le sanguinose vittorie di San Martino e Solferino hanno innescato insurrezioni popolari in Toscana e nei Ducati, che hanno costretto alla fuga i sovrani di un tempo. Gli austriaci sono stati cacciati da Bologna e Ferrara, le Marche e l’Umbria sono insorte contro l’autorità pontificia. L’armistizio di Villafranca voluto da Napoleone III non è valso ad arrestare «la rivoluzione italiana del 1859», come la chiamerà Manzoni. In marzo, il plebiscito indetto a Bologna dal dittatore Carlo Farini ha sancito l’annessione delle Legazioni pontificie al Regno di Sardegna, accolta dall’entusiasmo della popolazione e dai fulmini della scomunica comminata da Pio IX al re e a «tutti coloro i quali hanno perpetrata la nefanda ribellione nelle predette provincie». Analogo è l’esito del contemporaneo plebiscito indetto in Toscana da Bettino Ricasoli.
L’eco dei plebisciti non si è ancora spento che dallo scoglio di Quarto salpano due vapori carichi dei volontari di Garibaldi alla volta della Sicilia. Nel corso dell’estate le cronache delle loro imprese infiammano la gioventù patriottica. In agosto Garibaldi sbarca in Calabria, ai primi di settembre entra a Napoli. Un mese più tardi sconfigge definitivamente l’esercito borbonico sulle rive del Volturno, e i suoi volontari si congiungono coi soldati piemontesi, vittoriosi a Castelfidardo sulle truppe pontificie. I plebisciti di annessione al Regno di Sardegna si susseguono, nel Regno delle Due Sicilie, nelle Marche, in Umbria. Quando il nuovo anno accademico inizia, è di pochi giorni la notizia che Vittorio Emanuele è entrato a Napoli: il Regno d’Italia è ormai un fatto compiuto.
Luigi Cremona, il professore che si appresta a tenere la prolusione al suo corso, è un giovane non ancora trentenne, nominato sulla cattedra di geometria superiore da Terenzio Mamiani, ministro della Pubblica Istruzione del governo Cavour. Non è la prima volta che Cremona capita nella capitale felsinea. Gli studenti che gli stanno di fronte non immaginano certo che nel ’48 il loro professore era passato da Bologna tra i volontari del battaglione di studenti "Italia libera", e con loro si era battuto fino all’ultimo nella difesa di Venezia. Ora Cremona vede finalmente realizzati gli ideali d’indipendenza per i quali ha combattuto quando aveva a malapena l’età dei suoi studenti, e le sue parole traboccano di amore per la scienza e di entusiasmo patriottico.
«Le nostre facoltà universitarie non possedettero sin qui alcuna cattedra da cui si potessero annunciare alla gioventù italiana le novelle e brillanti scoperte della scienza. Ognun vede quanto fosse indecoroso che l’istruzione, data dallo Stato, non fosse che una piccola parte di quella reclamata dalle odierne condizioni di civiltà; ma a ciò non potevan provvedere né un governo straniero, né governi mancipii dello straniero, pei quali l’ignoranza pubblica era arte potentissima di regno. Quest’era un compito serbato al governo nazionale; ed il governo nazionale tolse a sdebitarsene instituendo cattedre d’insegnamento superiore».
Non era stata cosa da poco il "debito" pagato dal "governo nazionale" per ammodernare l’Università di Bologna: insieme a Cremona, infatti, il ministro Mamiani aveva nominato professori un bel gruppo di giovani, da Giosué Carducci all’oculista Francesco Magni, dal latinista Giovan Battista Gandino (il futuro maestro di Pascoli) al filosofo del diritto Pietro Ellero. Molti di questi nomi si ritrovano nella vasta corrispondenza di Cremona, e qualcuno anche nella Loggia massonica da lui frequentata assieme a Carducci.
L’argomento del corso che si accinge a presentare, «questa vastissima scienza che chiamasi geometria superiore – continua Cremona – è per le nostre università un ospite affatto nuovo; nulla ha potuto preconizzarlo finora, nemmeno farne sentire il desiderio». Così, agli studenti delinea un vero e proprio programma di ricerca «per rimettere in onore i metodi geometrici». E, sfidando i rischi della retorica, li esorta a seguirlo nell’impresa: «Respingete da voi, o giovani, le malevole parole di coloro che a conforto della propria ignoranza o a sfogo d’irosi pregiudizi vi chiederanno con ironico sorriso a che giovino questi ed altri studii. Lungi dunque da voi questi apostoli delle tenebre; amate la verità e la luce, abbiate fede ne’ servigi che la scienza rende presto o tardi alla causa della civiltà e della libertà. Credete all’avvenire! questa è la religione del nostro secolo». È una religione che, agli occhi di Cremona, trova alimento nelle nuove prospettive che le battaglie risorgimentali hanno aperto al Paese, e le sue parole conclusive acquistano i toni appassionati dell’orazione civile: «O giovani felici, cui fortuna concesse di assistere ne’ più begli anni della vita alla risurrezione della patria vostra, svegliatevi e sorgete a contemplare il novello sole che fiammeggia sull’orizzonte! Se la doppia tirannide dello sgherro austriaco e del livido gesuita vi teneva oziosi e imbelli, la libertà invece vi vuole operosi e vigili».
L’avvenire dell’Italia "è nelle vostre mani", esorta infine Cremona: «Ancora una volta dunque, o giovani, io vi dico: non la turpe inerzia che sfibra anima e corpo, ma i militari e li scientifici studi vi faranno ajutatori alla grandezza di questa nostra Italia, che sta per rientrare, al cospetto dell’attonita Europa, nel consorzio delle potenti e libere nazioni, con una sola capitale, Roma, con un solo re, Vittorio Emanuele, con un solo e massimo eroe, Garibaldi».
Il discorso di Cremona è un vero e proprio manifesto che annuncia l’impegno dei matematici della generazione risorgimentale nella vita civile e scientifica della nazione. Dall’Aula magna di Bologna le sue parole si diffondono nel Paese dalle pagine del Politecnico, la rivista di Carlo Cattaneo, introdotte da una vibrante esortazione dello stesso Cattaneo ai poeti italiani ad abbandonare arcadie e romanticismi, mitologie e sepolcri, e a cantare "la nuova poesia della scienza": «O giovani poeti, non eleggete la vostra dimora nei sepolcri; lasciate al passato le sue leggende; date una melodiosa parola alla pura e semplice verità; perocché questa è la gloria del vostro secolo; e voi non dovreste mostrarvi ingrati torcendo gli occhi dal sole nuovo della scienza a voi concesso per tenerli confitti nei sogni della notte che si dilegua».
Con l’entusiasmo per le imprese appena compiute, prefigurando in Roma la capitale naturale di un’Italia indipendente e unita, Cremona dava voce a quella che, nel novembre del 1860, era tuttavia ancora solo una speranza. La speranza che, dall’inizio del secolo, aveva nutrito gli ideali e motivato le battaglie di generazioni di patrioti.