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 2013  ottobre 27 Domenica calendario

TAGLI NEL MIRINO 7 MILA SOCIETÀ PUBBLICHE


ROMA È una galassia sconfinata di oltre 7.000 società pubbliche, venute fuori come funghi al ritmo di 300 l’anno tra il 2000 e il 2011. Un’esplosione di Spa, Srl e consorzi al 93,7% in mano agli enti locali che grazie a questo strumento hanno distribuito quasi 79.000 poltrone - tra amministratori, revisori e collegi sindacali - in giro per l’Italia.
A scattare la fotografia che ha confrontato dati ministeriali del 2012 e siti di Regioni, Province e Comuni capoluogo, è la Uil Servizio Politiche Territoriali che da anni segue l’evoluzione di questa fetta di Pubblica Amministrazione. La sola a crescere senza sosta a dispetto, e forse proprio a causa, delle politiche di austerità a livello centrale. Proprio mentre i Comuni più importanti, come Roma e Milano, lanciano grida d’allarme sul rischio di bancarotta, la moltiplicazione delle società locali non si ferma. Un materiale enorme per la spending review affidata al nuovo commissario Carlo Cottarelli (che ha iniziato il suo lavoro in questi giorni). Ma il suo non sarà un compito facile.
SPESE FUORI CONTROLLO
I dati sono impressionanti. La banca dati «Perla Pa» del ministero per la Pubblica amministrazione, nel 2012 ha censito la strabiliante cifra di 33.065 partecipazioni (anche di minoranza) in mano ai Comuni. Partecipazioni che sono detenute tramite 7.771 società la metà delle quali ha dichiarato una spesa per il personale di 15,1 miliardi nel 2012 (le altre non hanno fornito dati). L’onere che grava sui Comuni per queste società è valutato in 7,6 miliardi, spesi soprattutto per i contratti di servizio ma anche per ripianare perdite e ricapitalizzare società decotte che nonostante tutto pagano 615 milioni di dividendi. E - secondo lo studio della Uil - il funzionamento dei consigli d’amministrazione è costato 2,6 miliardi nel 2010.
GLI INTERVENTI
Da anni si cerca di porre un rimedio a questo evidente fenomeno di cattiva amministrazione locale, concentrato per i due terzi al Centro-Nord, ma senza ottenere risultati concreti. Il 30 settembre scorso è scaduto il termine entro il quale i Comuni con meno di 30 mila abitanti (che rappresentano il 96 per cento del totale) avrebbero dovuto chiudere le proprie partecipazioni in base alla legge Finanziaria del 2010. Ma il termine è passato in cavalleria senza alcun intervento realizzato o annunciato, tra le consuete richieste di proroga. Entro il prossimo 31 dicembre, poi, dovrebbero essere sciolte o privatizzate le società inhouse (cioè quelle che ricavano il 90% del proprio fatturato dal Comune o ente che le controlla) in base alla spending review varata dal governo Monti. Il termine iniziale era fissato al 30 giugno ed è stato prorogato ma non ci sono segnali che facciano pensare ad una sua attuazione nei tempi dovuti.
Infine, su questa intricata e delicatissima materia, si è cercato di giocare la carta della liberalizzazione (con la manovra bis del governo Berlusconi nel 2011) ma la norma è stata cassata dalla Corte Costituzionale perché in contrasto con l’esito del referendum sull’acqua. Il risultato è che per ora si applicano in Italia le norme europee che consentono di affidare senza gara i servizi solo alle società 100 per cento pubbliche. Ma affidamenti diretti riguardano ancora molte società miste pubblico-privati.
RAGIONI E RIMEDI
Le società pubbliche fanno di tutto: dai servizi utili (cimiteri, rifiuti, trasporti) alle bonifiche, dall’agricoltura alla cultura, dall’assistenza ai piccoli aeroporti per il volo dei deltaplani (Sarzana), la promozione di attività culturali come il teatro per l’infanzia (Fermo), la fiera del mandorlo (Caltanissetta) o le terme introvabili (Latina). «Una delle ragioni di questa proliferazione di società e posti - spiega Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil per le politiche territoriali - va cercata nella risposta della politica alle misure di austerità a livello centrale. L’approccio clientelare si sposta là dove i vincoli non ci sono o si possono aggirare. Inoltre, i tetti introdotti dai partiti alla possibilità di ricandidarsi in Parlamento, spesso si trasformano in poltrone nelle società locali».
Gioca anche la difficoltà di vendere aziende in perdita e la preoccupazione sull’impatto occupazionale di chiusure o cessioni ai privati. La legge di Stabilità ha stretto ulteriormente i vincoli per le società locali in profondo rosso, di fatto includendole nel Patto di stabilità interno. Ma bisognerà vedere se la norma resisterà in Parlamento. Un aiuto potrebbe venire dall’Antitrust le cui prerogative sulla liberalizzazione dei servizi sono state rafforzate dal Salva-Italia. Ma comunque vada, la strada sarà in salita.